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156 emilio salgari

facendola sdraiare sotto un monte di cuscini e di tappeti arrotolati per difenderla dalle palle che fischiavano attraverso la vasta sala passando tra le fessure delle finestre e delle porte, incoraggiavano i montanari, accorrendo là dove maggiore era il pericolo.

Alcuni uomini erano caduti e rotolavano negli angoli della sala, ma gli altri resistevano coraggiosamente e alle scariche rispondevano con altre scariche e alle grida dei soldati con tuonanti:

— Viva il Re della Montagna!...

Ad un tratto, al di fuori s’udirono delle grida che parevano di terrore. Nadir ed Harum, senza badare alle palle che continuavano a fischiare foracchiando le imposte, si slanciarono verso una finestra per sapere che cosa accadeva. Aperta l’imposta, retrocessero vivamente mandando due grida d’angoscia.

— Brucia il castello!...

Una luce sanguigna brillava su di una torre, che i soldati del re avevano già occupata, e si proiettava sui boschi vicini, rompendo le tenebre addensate sulla montagna. Nembi di scintille sfuggivano fra i merli e, trasportate dal vento freddo della notte, erravano capricciosamente fra le balze, cadendo nelle valli sottostanti e nei profondi abissi.

Dalle finestre sfondate del torrione si vedevano uscire lunghe lingue di fuoco e cadere una pioggia di tizzoni ardenti, mentre i soldati, atterriti, scendevano precipitosamente come una legione di demoni, aggrappandosi alle muraglie, alle sporgenze, ai vani, urlando fra le pesanti nuvole di fumo che li avvolgevano.

Era stato acceso da una mano nemica per costringere i difensori alla resa, o lo stoppaccio d’un archibugio, penetrando per una finestra, aveva dato fuoco ai divani ed ai tappeti delle stanze superiori? Comunque fosse, il torrione bruciava ed i montanari correvano pericolo di venire arsi vivi.

— Mirza! — gridò Nadir. — Il castello brucia!... Salva la mia Fathima!...

La risposta del vecchio si perdette fra un clamore assordante. Una porta sfondata dall’urto irresistibile d’una trave maneggiata da trenta uomini, erasi spalancata, e le guardie dello sciàh si erano scagliate nella sala coi kandjar in pugno. Erano trenta, cinquanta, cento, furiosi, assetati di sangue e ubriachi di polvere; ed altri ne accorrevano, precipitandosi negli androni e salendo i gradini a quattro a quattro.