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il re della montagna 143

— Pazzie d’innamorati, Nadir.

— No, Mirza!

Vi era un tale accento d’angoscia in quelle parole, che il vecchio provò un brivido.

— Che cosa temi? — gli chiese di nuovo.

— Non lo so.

— La tua Fathima ti ama e ti attende.

— Lo so che ella mi ama assai, Mirza.

— I montanari sono tutti amici tuoi e pronti a morire pel loro giovane capo.

— Lo so che mi sono fedeli.

— La montagna è tranquilla e Teheran è lontana.

— È vero; ma io ho paura, Mirza!...

In quell’istante, nelle valli della grande montagna echeggiò una fragorosa detonazione. Nadir emise un grido.

— Un colpo di fucile! — esclamò.

— Ti sgomenti per ciò? — chiese il vecchio, che tuttavia era diventato leggermente pallido.

— Una fucilata a quest’ora?

— Sarà stato qualche cacciatore che ha fatto fuoco su di un onagro o su di un’aquila.

Nadir, sempre più inquieto, s’affacciò alla finestra e guardò il versante della montagna. Alcuni cacciatori erano usciti dal castello e scrutavano attentamente le foreste, che cominciavano a diventare oscure, essendosi il sole nascosto dietro le alte vette nevose.

— Vedete nessuno? — chiese Nadir.

— Odo delle voci in fondo alla valle — rispose un montanaro.

— E dei cavalli a nitrire — rispose un altro.

— Che sia Harum? — chiese Mirza.

— Mi sembra di udire la sua voce — disse un bandito. — Sarei però curioso di sapere contro chi ha fatto fuoco.

Giù nella valle, che le foreste allora nascondevano, si udivano delle voci umane ed i ferri di parecchi cavalli che battevano le rocce del sentiero. D’improvviso un’altra detonazione risuonò, destando gli echi della montagna, e si udì una voce a gridare:

— Si direbbe che lo spirito del re che brucia nel vulcano, ci perseguita.

— Harum! — gridò Nadir.