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Cap. II.

Il Re della Montagna.

La fantasia del più brillante poeta orientale non avrebbe potuto creare un essere nè sì bello, nè sì nobile, nè sì temerario come Nadir, chiamato, e non a torto, dai banditi e dai cacciatori del Demavend, il Re della Montagna.

Non aveva più di vent’anni, a giudicarlo dall’aspetto. Era alto di statura, di forme svelte, che dinotavano però ad un tempo un’agilità da felino ed una forza più che straordinaria. Piccole, sottili, aristocratiche erano le sue mani, quantunque abituate sin dall’infanzia al maneggio del kandjar e del moschettone; rosea come quella di una fanciulla aveva la carnagione; rosse come il corallo più bello e un po’ sporgenti le labbra, ombreggiate da baffettini nerissimi; sottile il naso, lampeggianti come neri diamanti e grandi gli occhi; ben arcuate le sopracciglia, spaziosa la fronte, abbondante la capigliatura e più nera dell’ala di un corvo.

Con questi bellissimi lineamenti e colle vesti ricchissime di seta ricamate in oro, che indossava, e colle armi lucenti e tempestate di zaffiri e di perle che portava alla cintura, Nadir aveva più l’aspetto di un principe che d’un cacciatore e spiegava fino ad un certo punto come i suoi compagni gli avessero imposto il soprannome di Re della Montagna — soprannome che si era meritato anche per la sua forza, per la sua generosità e soprattutto per la sua rara audacia.

Come si disse, udendo la voce del vecchio erasi subito alzato, correndogli incontro.

— Mirza! — esclamò. — Mio buon Mirza!