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118 | emilio salgari |
al rigido clima della montagna nevosa, e la incoraggiava con sorrisi e dolci parole.
I cavalli, affranti per la lunga corsa, si erano messi al passo e s’arrampicavano faticosamente su per gli erti sentieri, battendo fortemente gli zoccoli ferrati sulle rocce.
L’oscurità cresceva di minuto in minuto. I cupi boschi proiettavano un’ombra fitta sul drappello, ed Harum era costretto a fermarsi di quando in quando, per non smarrirsi in mezzo a quelle gole selvagge ed a quei burroni, che pareva non dovessero finire mai.
Ai sentieri succedevano altri sentieri, sempre più ripidi, sempre più sassosi, sparsi di frammenti di lava nera, densa, pesante, mescolata a pezzi di trap azzurrognolo; alle gole succedevano altre gole, sempre più profonde, più cupe e selvagge, ed ai boschi altri boschi, sempre più fitti e più oscuri.
Di tratto in tratto agli orecchi dei cavalieri giungeva il muggito dei torrenti scroscianti sui fianchi della montagna o un raglio sonoro emesso da qualche onagro sospettoso, ed i loro sguardi vedevano passare, rapido come il lampo, l’animale spaventato, una specie d’asino, ma d’aspetto feroce, col pelo d’un grigio argenteo attraversato da una striscia nera che segue la spina dorsale, scendendo verso le spalle. Questi asini sono numerosi sulla grande catena degli Albours, ma abitano anche i deserti, le pianure del Shuristan, del Faristan, del Segestan e di Kerman, dove vivono in bande numerose. Sono selvatici e impossibili a domarsi, ma i persiani ne mangiano volentieri la carne, che si dice sia eccellente, migliore anzi di quella di bue.
Alle undici di sera il drappello giungeva sui piani superiori della montagna, nel momento che l’astro notturno sorgeva all’orizzonte, spargendo su quell’immenso agglomeramento di picchi, di rocce, di abissi e di selve, i suoi raggi azzurrini, di una infinita dolcezza.
Nadir stese la mano in alto, additando alla giovanetta un gruppo di torri, che parevano appoggiate sulla vetta d’una erta montagna.
— Lo vedi? — chiese egli.
— Un castello? — chiese Fathima.
— Il mio.
— Giungeremo tardi?
— Fra un’ora, amor mio.
— Ci aspetterà Mirza?