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110 emilio salgari

Gli otto cavalli, eccitati colle briglie, partirono di galoppo. Harum apriva la marcia, venivano poscia Nadir e Fathima e dietro di loro gli altri cinque montanari, colla mano sinistra appoggiata sul calcio dei moschetti, pronti a difendere il Re della Montagna e la sua fidanzata.

Dopo d’aver attraversato parecchie vie, giungevano dinanzi alla porta orientale, che mette sui sentieri che conducono al Demavend. Era già aperta ed entravano numerosi cavalieri, per lo più curdi, illiati e kadjars; ma vi era a guardia un drappello di soldati, più numeroso del solito.

Harum aggrottò la fronte.

— Audacia e sangue freddo — disse, volgendosi verso Nadir.

— Che sorveglino le persone che escono? — chiese questi, gettando un lungo sguardo su Fathima.

— Lo temo.

— Ma passeremo egualmente — disse Nadir. — Circondiamo Fathima e teniamoci pronti a piombare addosso ai soldati col kandjar in pugno.

— Siamo pronti — risposero i montanari.

— Al primo segnale lanciate innanzi i cavalli e sfondate la linea. Passeremo di galoppo sopra i caduti.

— Lasciate a me l’incarico di rispondere ai soldati — disse Harum. — Tu intanto, Nadir, passa con Fathima.

Il montanaro si mise alla testa della cavalcata, strinse le ginocchia, raddrizzò l’alta statura e si avanzò audacemente verso le guardie, colla destra sull’impugnatura del suo kandjar.

— Dove andate? — chiese un soldato sbarrandogli il passo.

— A Kend — rispose il montanaro, senza esitare.

— Kend è ad occidente della città.

— La porta d’occidente è ancora chiusa: gireremo la città fuori dei bastioni.

— Chi sei?

— Un curdo, come ben vedi.

— Ed i tuoi compagni?

— Curdi come me.

— E quel giovanetto?

— Mio figlio. Che cosa si sospetta per fare tante domande a dei tranquilli passeggeri?

— Ciò non ti riguarda — rispose il soldato.