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104 emilio salgari

rapaci; torme di illiati, tribù nomadi che vivono sempre sotto le loro tende; di Kadjars, tribù che accampano nei dintorni di Teheran e nel Mazenderan, di Jkaroubak, di Ereshlou e di montanari discesi dalla grande catena degli Elbours prima della chiusura delle porte.

Ogni qual tratto si alzava un gridìo assordante, la folla si ritirava precipitosamente, e s’avanzava qualche gran signore, coperto di splendide vesti, seguito da una numerosa scorta e preceduto dagli abdar, che portano i tappeti che devono servire di sedia al padrone, grandi borse ripiene di viveri, gli spiedi per arrostire il montone, un grande ombrello, scodelle di noce di cocco per attingere l’acqua, i vassoi pel caffè e alla cintura parecchi borsini contenenti le droghe necessarie per la cucina.

Di quando in quando poi la folla s’arrestava per ammirare qualche dervis, specie di mendicante errante, per lo più vecchio, con lunga barba bianca, e che, seduto in mezzo alla via, su di un tappeto, offriva dei pezzetti di carta con sopra scritto un versetto del Corano. Trovano sempre compratori, poichè i persiani credono che quei versetti scritti da cotali mendicanti abbiano la proprietà di guarirli da tutte le malattie presenti e future!...

Seguendo la folla, ora fermandosi, ora retrocedendo ed ora facendosi largo coi gomiti, Nadir ed il montanaro, tenendo in mezzo la giovane persiana per ripararla dalle spinte di tutte quelle persone che si pigiavano nelle vie, giunsero sulla piazza, addossandosi presso il porticato del palazzo dello sciàh.

La festa del martirio di Hussein stava per cominciare.

Un numero infinito di tende di tela nera, cogli ornamenti di lutto, circondate da miriadi di lumicini, ingombravano una parte della piazza, la quale era stata divisa da una lunga palizzata. Da un lato si rizzavano parecchie capanne di paglia, che dovevano raffigurare Kerbela, cittadella presso la quale era stato assassinato Hussein; l’altro era occupato da una immensa piattaforma coperta di brillanti tappeti, sulla quale doveva aver luogo la rappresentazione del martirio.

Gran numero di mollah (preti), montati su strani pulpiti, recitavano i versetti del Corano o rammentavano alla folla quanto in quel giorno fosse preziosa un lagrima versata alla memoria dell’assassinato califfo; mentre dinanzi al palazzo reale un drappello di cagiari, ossia di persone appartenenti alla tribù dello sciàh, a piedi nudi, semivestiti, si battevano il petto cantando delle lamentevoli canzoni.