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76 | Capitolo VII. |
— Sì, la nostra vendetta, — disse con voce cupa. — Nessuna nave che porta la bandiera di Teriosky sfuggirà ai nostri colpi.
Sai che da venti navi che aveva prima del nostro esilio ora ne ha cinquanta? E sai tu con quali denari quel miserabile le ha acquistate? Coi nostri, perchè tutta la nostra fortuna ci è stata confiscata a vantaggio di quel miserabile che aveva liberato l’Impero di due nikilisti pericolosi come noi, che congiuravano contro la vita dello Czar. Comprendi, fratello? Ti ha rapita la figlia e ci ha spogliati perfino dell’ultimo rublo! —
Una specie di ruggito era uscito dalle labbra contratte dell’ex-comandante della Pobieda.
Una voce, quella del capitano dello Sparviero, si fece udire in quel momento dietro a Boris.
— Calmatevi, signore. Io sono qui per vendicarvi e noi siamo i re dell’aria.
Voi riavrete un giorno vostra figlia ed a nostra volta ridurremo il barone di Teriosky nella più completa miseria, poichè non gli lasceremo nemmeno un albero delle sue cinquanta navi.
Delle ricchezze perdute non vi preoccupate. Nelle mie corse attraverso il mondo ho scoperto ciò che tanti altri invano cercavano da anni e anni, e, se lo desiderate, daremo a vostra figlia, come dote, un fiume d’oro.
Andate a riposarvi, signori. Domani, quando vi sveglierete, fileremo colla velocità delle rondini, al di sopra della Siberia.
Liwitz, conduci questi signori nelle cabine che ho loro assegnate. —
Il macchinista, che pareva fosse il personaggio più importante e più necessario a bordo dell’aereo-treno, staccò una lampadina che era sospesa alla murata e precedette i due russi nell’interno del fuso.
Una corsìa lo attraversava da prora a poppa, così stretta da permettere a malapena il passaggio ad un uomo corpulento, essendo lo spazio limitatissimo.
A destra ed a sinistra s’aprivano sei piccole porte le quali mettevano in altrettante cabinette contenenti un lettuccio, un tavolino ed un servizio di toeletta, illuminate da lampadine sospese al soffitto.
Liwitz introdusse i due russi in due cabine, una attigua all’altra, augurò loro la buona notte e risalì in coperta.
Il capitano passeggiava, fumando un sigaro, scambiando, di quando in quando, qualche parola con uno dei sei marinai che stava seduto dietro alla macchina per regolare la velocità dell’aereo-treno.