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La vendetta dei forzati 41


— Boris, — proseguì l’implacabile Wassili, che si era seduto su un pezzo di tronco d’albero. — Tu, fratello, lancia contro quest’uomo la prima accusa. —

L’ex-comandante della Pobieda si fece innanzi e, tendendo la destra verso il capitano, disse:

— Io accuso quest’uomo di essere un complice pagato di mio cugino il barone di Teriosky, qui appositamente mandato per sopprimermi.

— Lo giuri sul tuo onore?

— Lo giuro.

— Hai delle prove?

— Tu lo sai meglio di me.

— È vero, signori, — disse Wassili, volgendosi verso i forzati, i quali assistevano, silenziosi, a quella scena. — Io ho avute le prove più certe che quest’uomo è stato qui inviato espressamente per far scomparire mio fratello.

— Chi ve le ha fornite? — gridò il capitano, con uno sforzo supremo.

— Due galantuomini che hanno dedicata la loro esistenza al trionfo dell’innocenza mia e di quella di mio fratello Boris, — rispose Wassili con voce solenne.

— I loro nomi: ditemeli.

— Dimitri Rokoff comandante del 12° reggimento dei cosacchi del Don e Fedoro Mitenko, uno dei più ricchi negozianti di Odessa.

— Non li conosco, ma quei galantuomini non possono essere che due canaglie.

— Una canaglia siete voi! — gridò Wassili.

Il capitano alzò le spalle, sorridendo forzatamente.

— Sono tutte queste le prove che avete? — chiese poi ironicamente.

— Sì; a me bastano.

— E mi giudicherete su quelle?

— Non abbiamo ancora finito.

— Ah!... C’è dell’altro!... — disse il capitano, che a poco a poco riprendeva il suo sangue freddo ed il suo coraggio.

Wassili si volse nuovamente verso i forzati, sempre silenziosi ed immobili, poi riprese:

— Noi avevamo un cugino, il barone di Teriosky, uno di quegli esseri malvagi che qualche volta s’incontrano nel mondo e che, quantunque già vecchio, si era follemente innamorato della figlia di mio fratello, la sua unica figlia.

Respinto dalla fanciulla e da noi, giurò di vendicarsi. Una denun-