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La vendetta dei forzati 39


— Volete dirmi, se avete fatto il vostro testamento, a chi lo avete affidato?

— No!...

— Se me lo dite, vi farò fucilare col petto volto verso gli esecutori.

— No!...

— Io saprò scoprirlo egualmente, dovessi squarciare tutti i dorsi dei forzati a colpi di knut o di nagaika.

— Provatevi.

— Lo vedrete, o meglio voi non lo vedrete. Rifiutate ancora?

— Rifiuto.

— È l’ultima vostra parola?

— L’ultima.

— Riposate in pace. —

Il capitano, che schiattava dalla rabbia, ritornò verso i cosacchi, i quali non aspettavano che un suo ordine per mirare il condannato che si teneva ritto sull’orlo della fossa, senza staccare i suoi occhi da Wassili.

— Pronti!... — disse Stryloff.

I sei cosacchi stavano per puntare i fucili, quando una voce imperiosa, alzatasi fra le schiere dei galeotti, comandò:

— Fuoco!... —

Immediatamente una terribile scarica di fucili rimbombò, seguìta subito da un vero fuoco di fila di rivoltelle.

I sei cosacchi, fulminati con matematica precisione dai marinai della scialuppa e dai forzati della prima fila armati di rivoltelle, erano caduti l’uno addosso all’altro, senza mandare nemmeno un grido. Perfino Uska, il tamburino, era stramazzato, colla testa spaccata da parecchie palle.

— Gettati nel fossato, fratello! — aveva gridato subito Wassili.

Il comandante, che sapeva di trovarsi sotto il tiro della rivoltella del capitano, con una sveltezza inaudita si era precipitato in mezzo alla neve.

Wassili si era subito slanciato innanzi, seguìto dai sei marinai e dai forzati armati di rivoltella, gridando:

— Arrenditi, capitano!... Sei in nostra mano!... —

Stryloff non aveva nemmeno osato di alzare la sua rivoltella. Sembrava pietrificato da quell’inaspettato colpo di scena.

Pallido come un cadavere, anzi livido, era rimasto al suo posto,