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Wanda 351


— E come?

— Ve l’ho già detto, — rispose Ranzoff. — Con delle bombe.

— Ma vorrei sapere in qual modo.

— I vostri cugini hanno inventata una straordinaria macchina volante, la quale solca senza posa lo spazio, dando la caccia ai vostri bastimenti.

— Una macchina volante, avete detto!... Io allora l’ho veduta nei paraggi di Tristan de Cunha!... Mi ero immaginato che fossero loro e perciò mi sono affrettato a sgombrare.

Furbi come me ve ne sono pochi, in fede mia!... Ecco una informazione che vale più dei tre milioni di rubli che mi hanno affondati.

Birbanti!... Vogliono Wanda!... Ma non sanno adunque che è mia e che il Mare del Nord me l’ha restituita? Sono pazzi!... Sì, pazzi!... —

Si era rimesso a passeggiare, colla testa china sul petto, i lineamenti alterati, gli occhi luccicanti come quelli dei lupi affamati, tormentando la sua lunga barba.

Ad un tratto tornò a fermarsi dinanzi a Ranzoff, chiedendogli a bruciapelo:

— Mi cercano?

— Sì, signor barone.

— Chi ve lo ha detto?

— Vostro figlio.

— Che cosa ne sa lui?

— Se ci ha mandati appositamente qui, deve averlo saputo.

— L’avete incontrata, durante il vostro viaggio, quella dannata macchina volante?

— Devo dirvi che tre giorni or sono, dopo il tramonto, abbiamo veduto un enorme uccellaccio passare, con rapidità fantastica, sopra la nostra nave.

— Non era un albatros?

— No: era troppo grosso.

— A quale distanza da quest’isolotto l’avete veduto?

— A circa cinquecento miglia.

— E si dirigeva?

— Verso il sud.

— Qui allora?

— Non ve lo potrei accertare, signor barone. —

Il vecchio pazzo parve riflettere alquanto, poi disse, come parlando fra sè: