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330 Capitolo IX.


— Va bene, — disse, quando fu informato di tutto. — Liwitz, sii pronto a far funzionare la macchina a sè.

Per un paio di giorni noi ci terremo sempre al largo, per non allarmare il vecchio pazzo ed i suoi avventurieri.

Aprite bene gli occhi e guardate. —

Un profondo silenzio regnò a bordo dello Sparviero: si sarebbe detto che tutti trattenevano il respiro.

Ad un tratto un lampo vivissimo balenò in direzione dell’isolotto, poi una formidabile detonazione si propagò sull’oceano.

Ranzoff aveva fatto scoppiare il siluro e la torpediniera in quel momento stava affondando.

— Liwitz, la macchina, — disse il capitano dello Sparviero colla sua solita voce tranquillissima, senza levare il sigaro che teneva stretto fra le labbra. — Ora scappi pure il barone, se può. È un topo chiuso in una trappola. —

La macchina volante si era messa in moto. Prese lo slancio, scivolando per cinquanta o sessanta metri sull’oceano, poi si alzò di colpo, dirigendosi verso la piccola baia dell’isolotto.

Dei punti luminosi brillavano sulla spiaggia e si udiva un vociare confuso.

Pareva che molte persone si fossero radunate all’estremità della valletta.

— Signor Rokoff, — disse Ranzoff, volgendosi verso il cosacco. — Siete un uomo preziosissimo.

— Perchè, capitano?

— La torpediniera non si scorge più.

— Mi rincresce però una cosa, signor Ranzoff.

— Dite.

— Di non aver potuto regalare al nostro bravo macchinista-cuciniere la coda d’un pesce-cane per la zuppa di domani.

— L’assaggeremo un’altra volta. Le occasioni non mancheranno. —