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Il Tesoro di Trinidad 283


— Dei milioni hai detto?

— Che sia stato fortunato solamente Teriosky nelle sue ricerche? Anch’io mi sono occupato dei tesori nascosti nelle isole perdute su questo immenso oceano. Mi pare anzi di avertene parlato un giorno.

— Infatti me ne ricordo.

— Ebbene andiamo a cenare, amico, per ora. Ne riparleremo sorbendo il thè e fumando un buon sigaro. —


CAPITOLO VI.

Il Tesoro di Trinidad.

La cena, composta quasi esclusivamente di pesce splendidamente conservato nella ghiacciaia dello Sparviero, entro la quale non regnavano mai meno di 90° sotto lo zero, era stata divorata, il the era stato bevuto ed i sigari accesi.

Ranzoff ed i suoi amici, seduti a prora, respiravano a pieni polmoni l’aria purissima dell’oceano, guardando le stelle che salivano sull’orizzonte, mentre lo Sparviero affrettava la corsa, librandosi maestosamente fra cielo e acqua.

Un gran silenzio regnava attorno ai figli dell’aria, appena rotto dal leggerissimo frullìo delle eliche, un silenzio che solo può ritrovarsi e gustare sulle più alte montagne del globo.

— Abbiamo mangiato e abbiamo anche accesi i sigari, — disse ad un tratto Wassili, volgendosi verso Ranzoff, — e la storia del tesoro non l’abbiamo ancora udita.

— È vero, — rispose il capitano dello Sparviero, sorridendo. — Che cosa vuoi, amico? Quando io mi trovo circondato da questi meravigliosi silenzi, scordo ogni cosa. Ah!... La poesia dell’aria!...

— Lasciate le poesie e venite ai milioni, — disse Rokoff. — Sono ansioso di tuffarvi dentro le mani.

Ranzoff aspirò una dietro l’altra tre o quattro boccate di fumo, poi disse: