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26 Capitolo III.


fatto nascondere da qualcuno dei miei servi, corrotto a forza d’oro. Io e mio fratello Wassili eravamo, agli occhi della polizia, due affiliati della società dei terroristi russi, due nemici dello Czar e dell’assolutismo. I documenti parlavano chiaro: i manifesti trovati fra le nostre carte non potevano lasciare più alcun dubbio, e, malgrado le nostre disperate difese, noi fummo condannati alla deportazione perpetua: Wassili nelle miniere di mercurio d’Algasithal, io qui, in questa triste isola, perduta quasi ai confini del mondo russo.

E di mia figlia, lasciata sola, sapete voi che cosa è avvenuto?

— Io! No di certo, — rispose il capitano con trascuratezza.

— Scomparve subito dopo la nostra partenza per la Siberia.

— Avrà avuto qualche amante. —

Il colonnello era balzato in piedi come una tigre, coi pugni tesi, pronto a precipitarsi sul capitano.

— Miserabile! — gli gridò. — Ripeti questa frase ed io ti strangolerò anche in mezzo ai tuoi cosacchi. —

Il capitano, forse pentito di quella frase, aveva fatto due passi indietro, dicendo:

— Scusate, colonnello, ma io non avevo alcuna intenzione di offendere: era una mia supposizione e nient’altro.

— La mia Wanda è stata rapita e tu sai da chi! — urlò il condannato, con voce terribile.

— Io lo so?

— Sì, perchè tu sei l’anima dannata del barone di Teriosky.

— Chi ve lo ha detto?

— L’ha saputo mio fratello Wassili, che sei mesi or sono è riuscito a fuggire dalle miniere.

— Egli ha mentito, — rispose il capitano, il quale era in preda ad una vivissima agitazione. — Io non ho mai avuti rapporti col barone di Teriosky, vostro cugino.

— Sei tu che mentisci, infame! — gridò il comandante, esasperato. — Egli ti ha fatto mandare qui, perchè tu mi sorvegliassi e mi tormentassi e cercassi il modo di sopprimermi, e tu l’hai trovato, è vero? Ribellione d’un politico contro il comandante del penitenziario, quindi consiglio di guerra formato da te e da un maresciallo d’alloggio tuo servo, peggio ancora, tuo schiavo, e pronuncia della sentenza di morte. È così, capitano Stryloff?

— Questa è un’accusa infame! — esclamò il capitano, rosso di colera.