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270 | Capitolo V. |
dersi in alcun modo da quell’attacco che veniva dall’alto e non era ormai altro che un ammasso di ferraglie sconquassate e che, per colmo di sventura, minacciava da un momento all’altro di squilibrarsi sotto il peso dei suoi alberi militari gravanti sul tribordo e dei suoi enormi pezzi delle torri di coperta.
— Signori, — disse, con voce un po’ tremante. — Credete che ogni resistenza sia inutile?
— Abbiamo cinquecento uomini a bordo da salvare, — rispose il tenente di vascello.
— Potete voi testimoniare, dinanzi all’Ammiragliato, che io ho fatto il possibile per liberare l’Atlantico da quella terribile macchina volante?
— Sì, signor barone, — risposero tutti ad una voce.
— Ebbene... si abbassi la bandiera e si annunzi la nostra resa.
Fece atto di portare la mano alla busta contenente la rivoltella. Orloff ed un tenente furono pronti a trattenerlo.
— Che cosa fate, signor barone? — disse il primo, strappandogli d’un colpo l’arma.
— Quando il comandante d’una nave si arrende, si uccide per non assistere alla discesa della bandiera della patria, — rispose il baronetto con voce cupa. — La mia carriera è finita.
— Non ancora signore, — rispose Orloff. — Gli uomini di mare, e voi lo sapete meglio di me, contano sempre sulla rivincita.
Prese la rivoltella e con un gesto rapido la lanciò in mare, aggiungendo:
— Questa non vale un pezzo da trenta centimetri. —
Il baronetto, per un momento accasciato, aveva rialzata la testa.
— Avete ragione, signor Orloff. In fondo al cuore del marinaio rimane sempre qualche cosa, specialmente quando quel marinaio è un uomo di guerra. E poi, — aggiunse, dopo qualche istante di silenzio, — sono curioso di sapere che cosa vogliono quegli uomini.
— E la nave, comandante? — chiese il secondo di bordo.
— Lasciate che derivi verso il banco; ormai è perduta e non potrebbe più mai ritornare in Russia.
Giù la bandiera!... —
La macchina volante continuava i suoi giri, come se godesse dell’agonia del possente incrociatore, che aveva così facilmente vinto.