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Il condannato 25


mandante del penitenziario uno sguardo feroce, poi proruppe in una risata sinistra, stridula.

— Che cosa ne vorreste fare voi, anima dannata di mio cugino, il barone di Teriosky, del mio testamento? Distruggerlo subito dopo la mia morte, è vero?

— Signor Starinsky!... — esclamò il capitano, impallidendo.

— So tutto, miserabile! — tuonò il colonnello, con uno scatto di collera terribile.

Il capitano aveva alzata la nagaika, ma poi l’abbassò, dicendo:

— Se non avessi dinanzi a me un superiore ed un uomo che al sorgere del sole dormirà entro la bara, vi avrei già colpito.

— Allora ascoltatemi, giacchè mi considerate come un uomo morto, — disse il condannato con un sorriso ironico.

Fece due o tre passi intorno alla tavola, col capo chino sul petto e la fronte burrascosamente aggrottata, poi si sedette su una scranna zoppicante e, fissando sul capitano uno sguardo pieno d’odio, disse:

— Ero colonnello della guardia dello Czar, godevo la stima di tutti, compresa quella dell’imperatore; ero ricco e felice, quando un bojardo legato a me da stretta parentela, giurò la mia perdita.

Egli, quantunque vecchio, si era pazzamente innamorato di mia figlia, la mia Wanda. Me la chiese in isposa e gliela rifiutai, sdegnato.

Ella era ancora bambina, si può dire, poichè non aveva che sedici anni, mentre lui ne aveva quaranta ed un passato triste.

Quel rifiuto fu la rovina della mia famiglia. Si era allora nel tempo in cui i nikilisti tramavano contro l’assolutismo.

Che cosa ci voleva per perdere un uomo anche onorato, rispettato e fedelissimo suddito del piccolo Padre? Un documento qualunque, introdotto abilmente da un traditore nella corrispondenza ed un avviso segreto alla polizia erano più che sufficienti per mandare anche un ammiraglio, un generalissimo, nelle prigioni di San Pietro e Paolo.

Era però necessario essere vili, e vile era appunto mio cugino, il barone di Teriosky, il grande armatore di Libau.

— Questa è una storiella creata dalla vostra fantasia, — disse il capitano, che si frustava nervosamente, colla nagaika, i lunghi stivali alla scudiera.

— Tacete, — gridò il colonnello. — Riserbo qualche cosa anche per voi che vi farà fremere la pelle.

Una notte la polizia irruppe nel mio palazzo, frugò per tutte le stanze, scassinò tutti i mobili e trovò... quello che mio cugino aveva