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La ricomparsa dello Sparviero | 261 |
L’enorme mostro d’acciaio, armato d’un formidabile sperone, chè non poteva servire assolutamente a nulla contro quell’uccellaccio padrone dell’aria, fendeva fragorosamente la corrente coll’impeto di un proiettile. Tonnellate di carbone venivano precipitate, senza posa, nelle sue fornaci, per ottenere la massima pressione, tanto che i macchinisti ed i fuochisti avevano dovuto spogliarsi, per non arrostire completamente.
Le cinture metalliche vibravano sonoramente e le eliche turbinavano rabbiosamente. Dalle ciminiere, immense nuvole di fumo uscivano sibilando.
L’incrociatore fuggiva a tiraggio forzato. Le valvole fischiavano, come se le macchine dovessero, da un istante all’altro, scoppiare e sventrare d’un colpo solo la carena. Nonostante quegli sforzi giganteschi, la macchina volante si manteneva ostinatamente al di sopra del Tunguska, accompagnandolo nella discesa del San Lorenzo.
Invano le poderose macchine dell’incrociatore funzionavano rabbiosamente: il Re dell’Aria sfidava il più veloce camminatore dell’Ammiragliato russo.
Il baronetto, colle labbra bianche, il viso alterato, la fronte imperlata di sudore, non ostante il vento freddissimo che soffiava attraverso il fiume gigante, guardava con crescente terrore il terribile avversario, che lo minacciava ad ogni istante come la spada di Damocle.
Che cosa fare? Che cosa risolvere, quando le artiglierie non potevano servire a nulla, quelle possenti artiglierie che avrebbero potuto affrontare anche una delle più formidabili corazzate del mondo?
La lotta di velocità non aveva fino allora ottenuto altro risultato che quello di consumare una quantità enorme di carbone.
— Chissà!... Aspettiamo l’alba, — aveva detto il barone ai suoi ufficiali e ad Orloff, i quali apparivano non meno impressionati di lui. — Basta che spicchi una volata dinanzi a noi.
Tutta la notte il Tunguska filò con una velocità spaventevole fra le acque del San Lorenzo.
Alle tre del mattino si trovava già nel golfo e fuggiva in direzione di capo Bretone, dopo di aver avvistata l’isola del Principe Edoardo. Alle quattro, nel momento in cui le tenebre cominciavano a diradarsi, la macchina volante aumentò gradatamente la sua velocità, precedendo l’incrociatore.
Si manteneva sempre ad un’altezza straordinaria, in modo da non esporsi al lungo tiro delle artiglierie, nè delle torri, nè delle coffe.