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24 | Capitolo III. |
CAPITOLO III.
Il condannato.
Un uomo che indossava la divisa di capitano dei cosacchi e che trascinava sul pavimento di legno, con gran fragore, la sciabola, era entrato, tenendo in mano una di quelle terribili fruste chiamate nagaika, usate dai selvaggi cavalieri delle steppe del Don.
Poteva avere quarant’anni e, come tutti gli uomini della sua razza, era di statura alta e di forme massicce.
Una lunga barba biondastra, un po’ incolta, gli copriva buona parte del viso, sul quale spiccavano un naso adunco come il becco d’un pappagallo e due occhi grigiastri, simili a quelli d’un falco.
— Buona sera, colonnello, — disse con accento ironico, togliendosi dalle labbra una pipa monumentale. — Sono certo che non aspettavate una mia visita prima della vostra esecuzione. —
Il fratello di Wassili, udendo quella voce, si era alzato di scatto, fissando sul capitano i suoi occhi d’un azzurro profondo, animati da una fiamma intensissima.
Come statura e come robustezza, aveva ben poco da invidiare al suo avversario. Era un bel tipo di nordico, forte come un abete, l’aspetto imponente, i lineamenti energici.
Quantunque dovesse aver già varcata la cinquantina, la sua barba, i suoi baffi, i suoi capelli non avevano un solo filo d’argento. Solamente la sua ampia fronte era solcata da profonde e premature rughe.
— No, — disse con voce secca, — non vi attendevo. È uso lasciare in pace i condannati a morte l’ultima notte della loro esistenza.
— Venivo a chiedervi se avete fatto il vostro testamento. Voi avete una figlia. —
Dal petto del colonnello uscì un vero ruggito.
— Wanda!... Mia figlia!... Wanda, che domani sarà senza padre!...
— L’avete fatto? — chiese il capitano, che era rimasto impassibile dinanzi a quell’intenso scoppio di dolore.
Il colonnello rimase un momento immobile, dardeggiando sul co-