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240 | Capitolo II. |
rono, le ciminiere furono scaraventate in mare, come se un terribile colpo di vento le avesse abbattute, ed il transatlantico, completamente sgangherato, affondò.
Ecco tutto, signore.
— E la macchina infernale?
— Fuggì, subito dopo d’aver compiuta la distruzione, verso il nord-ovest, — rispose il marinaio.
— E voi?
— Sulle scialuppe, con mare abbastanza pessimo, approdammo dopo tre giorni a Laguna e quindi qui.
— Non avete veduto quanti uomini vi erano a bordo di quella macchina volante?
— Era notte, signor barone, e non ci fu possibile scorgere nessun essere umano.
— Non si trattava d’un pallone, è vero?
— Oh no, signore! Io ne ho veduti molti e quella macchina dell’inferno non rassomigliava a nessuno. —
Il baronetto trasse da una tasca una borsa ben fornita di pezzi d’oro e la porse al vecchio marinaio, dicendogli:
— Curatevi e grazie delle vostre informazioni.
— Tuttociò è terribile, — disse il comandante dell’Orulgan, quando il marinaio lasciò il salotto elegantissimo del quadro. — Che specie di bombe saranno quelle che getta quella dannata macchina? Sapreste darmi qualche spiegazione voi, signor barone, che siete uomo di guerra. —
Teriosky non rispose. Appoggiato alla tavola che occupava il centro del salotto, pareva che si fosse immerso in profondi pensieri.
— Sì, sono veramente terribili gli uomini che montano quella macchina, — disse ad un tratto. — Ah! Quell’ingegnere!...
— Quale? — interrogò Orloff.
— Non posso parlare, — rispose il capitano dell’incrociatore con voce un po’ triste. — Si vendica e come!...
— Si direbbe che voi, signor barone, conoscete quel Re dell’Aria.
— Può darsi, ma questi sono segreti di famiglia che io non posso, almeno per ora, svelare.
— Me lo avete già detto. —
Il baronetto si era staccato dalla tavola e si era messo a passeggiare nervosamente pel salotto, colle mani affondate nelle tasche dei suoi pantaloni.