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Sull'Atlantico 139


filo, quando s’accorsero che la gomena imbarcata non bastava, in causa delle enormi profondità dell’Atlantico. Perciò fu spezzata e lasciata cadere a quattrocentocinquanta chilometri dalle coste della Spagna, in un baratro di quattromila metri.

— Che disillusione per gli Americani e per gli Europei! — esclamò Ranzoff.

— Una dolorosa disillusione, ma che non ebbe lunga durata. Raccolto un nuovo capitale, nel 1858 la Compagnia ritentava l’impresa audace, costruendo altri 1350 chilometri di gomena da aggiungersi a quella precedente.

I due piroscafi ricominciarono l’immersione a 52° 21’ di lat. N. e da 33° 18’ di long. O., ma fino dai primi giorni il cavo si spezzò per ben tre volte, lasciandone in mare ben 230 chilometri.

Gl’ingegneri però non si scoraggiano. Fanno ripescare la gomena ed il 29 luglio i due piroscafi, partiti l’uno dall’Irlanda e l’altro da Terranuova, compiono in mezzo all’oceano l’unione della gigantesca gomena.

Il 6 agosto, i primi dispacci vengono lanciati ed il 10 dello stesso mese il presidente degli Stati Uniti e la Regina d’Inghilterra si scambiavano i loro saluti.

La gioia però fu breve, perchè il 1° Settembre, dopo 129 telegrammi inglesi e 271 americani, il cavo cessava di funzionare.

— Un vero disastro per la società! — esclamò Wassili, il quale ascoltava con vivo interesse il fratello.

— Completo, — rispose Boris. — Lo scoramento fu così grande che per poco non si abbandonò definitivamente l’idea. Ma poi il varo di una nave enorme, il colossale Great Eastern, capace di portare da solo la gomena, fece rinascere le speranze di riallacciare l’Europa e l’America.

— Un vero mostro quella nave, è vero, signor Boris? — chiese Ranzoff. — Ne ho udito parlare parecchie volte.

— Un mastodonte, di fronte al quale un incrociatore moderno, avrebbe fatto una ben meschina figura.

Era uno steamer di ventitremila tonnellate, a sei alberi, lungo duecento metri e largo venticinque, con cinque camini e otto macchine a vapore con ruote d’un diametro di diciotto metri e un’elica del peso di sessanta tonnellate.

Un vero capolavoro dell’ingegneria navale, che era costato la bagatella di venticinque milioni e che prima di scendere in mare aveva già rovinate due Compagnie.