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122 Capitolo X.


L’atman prese una bottiglia piena della spiritosissima bevanda ed empì i bicchieri, dicendo:

— Bevete, signori: vi preserverà dal freddo; forse dovremo rimanere all’aperto qualche po’. —

Vuotate le tazze, Pugno di ferro prese sotto il braccio l’intendente il quale pareva più morto che vivo e tutti li seguirono, mentre Olga rimaneva dinanzi al caminetto senza degnare d’un solo sguardo il disgraziato che aveva tradito.

Al di fuori faceva un freddo veramente siberiano e la nebbia non era ancora cessata. Gli alti pini del parco erano appena visibili alla base; le cime scomparivano fra quei gravidi vapori scendenti sulla terra come un lenzuolo funebre.

Solo la lampada elettrica, sospesa ad una piccola antenna eretta dinanzi al padiglione, rompeva le tenebre e anche stentatamente.

— Dov’è? la vasca? — chiese l’atman all’intendente.

— Presso la lampada.

— Il tuo padrone veniva a prendere il suo bagno quando nevicava?

— All’estate.

— Si vede che è un signore raffinato. —

Stossel non rispose.

S’avvicinò all’antenna sostenente la lampada, strappò con rabbia una tela impermeabile carica di neve e mise allo scoperto un’ampia vasca di marmo bianco, profonda quasi tre metri, munita da un lato di due rubinetti di metallo.

— È lì sotto che hai nascosta la lettera? — chiese Wassili.

— Sì, — rispose Stossel con dispetto.

— Non c’ingannerai tu?

— Non sono forse nelle vostre mani? — chiese rabbiosamente l’intendente.

— È nascosta nel fondo della vasca?

— Sotto la pietra di sfogo.

— Chi farete scendere? — chiese Wassili all’atman.

Il capo degli Hoolygani era così occupato a far girare i due rubinetti che subito non rispose.

— Chi farete scendere? — ripetè Wassili.

— L’intendente, — disse finalmente l’atman.

Poi, come parlando fra sè, mormorò:

— L’acqua dei tubi non è ancora gelata. Si può fare un bellissimo scherzo.