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Un uomo gelato vivo | 121 |
— Che cosa diceva?
— Io non l’ho capita.
— Indicava almeno il luogo ove il tuo padrone si è rifugiato?
— Non so: accennava ad un’isola che io non ho mai udita nominare.
— La conosceremo noi presto, — disse Boris. — Spiega a noi perchè il tuo padrone, ricco, potente, ben veduto alla corte imperiale, è fuggito da Pietroburgo.
— Perchè temeva di trovarsi, un giorno o l’altro, di fronte ai suoi cugini e di dover perdere la fanciulla che amava alla follìa.
— Eppure sapeva che noi eravamo esiliati in Siberia e anche più in là della Siberia.
— Eppure aveva paura di vedervi ricomparire.
— Quando fu rapita la fanciulla?
— Due settimane dopo il vostro arresto.
— Da chi?
— Da alcuni servi del barone.
— E guidati? —
Stossel non rispose.
— Da te, è vero, miserabile? — gridò Boris.
— Io non ho detto questo, — balbettò l’intendente.
— Lo leggiamo nei tuoi occhi.
— Io dovevo eseguire gli ordini del padrone.
— E per obbedirlo hai mandato noi alle miniere, — disse Wassili.
L’intendente ebbe uno scatto d’ira e, volgendosi verso Olga, che non aveva lasciato il caminetto, le gridò con voce furente:
— Sei una vile creatura!... Tu mi hai rovinato!... —
La ragazza rispose con un riso argentino ed un’alzata di spalle.
L’atman si era alzato.
— Guidaci alla vasca, — disse. — Noi abbiamo perduto già troppo tempo.
— Fa troppo freddo a quest’ora.
— Bah!... I buoni russi non hanno mai avuto paura della neve. Se vuoi, scaldati lo stomaco con un buon bicchiere di sliwowitz.
Noi facciamo altrettanto. —
Ad un suo cenno i quattro Hoolygani che guardavano la porta, aprirono un grande armadio di noce scolpita che si trovava in un angolo del salotto e tolsero parecchi bicchieri di cristallo di Boemia, deponendoli dinanzi alle persone sedute intorno al tavolo.