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10 Capitolo I.


— Spero che non ve ne sarà bisogno.

— Bada di non far scricchiolare la neve. Devi sorprenderlo e finirlo, prima che abbia il tempo di mandare un grido.

— Gli farò vomitare ad un tempo il suo sangue cosacco e la votka che ha tracannato, — rispose Ursoff, sorridendo. — Così non potrà parlare, nè mandare alcun grido.

— Va: noi ti seguiamo. Liwitz, prendi il suo barilotto. Per fare di questi colpi bisogna avere le mani libere. —

Ursoff si sbottonò il cappotto per avere maggior libertà nelle mosse, si assicurò se la baionetta era ben fissata, poi si mise in marcia, tenendosi curvo.

Era un bel giovane, di venticinque o ventott’anni, robusto come un toro, con certe braccia che somigliavano a grossi rami d’albero, un torso da giovane bisonte, certe mani che dovevano valere meglio delle tenaglie.

Wassili e gli altri cinque marinai si erano gettati in mezzo alla neve, mettendosi a strisciare come serpenti.

Ursoff procedeva cautamente, badando di non far scricchiolare la neve gelata per non attirare l’attenzione della sentinella che distingueva perfettamente, quantunque il guardacoste avesse spento la sua lampada elettrica.

Era però tanto sicuro che quella sentinella fosse ubriaca, che non si preoccupava troppo del colpo di baionetta.

Conosceva troppo bene la sete bestiale, mai spenta, di quei selvaggi figli del Don, egli che aveva passato parecchi anni nei penitenziari di Sakalin.

Avanzandosi sempre adagio, soffermandosi dietro ai piccoli cespugli coperti di neve che incontrava sulla sua via, potè finalmente giungere a pochi passi dalla sentinella.

Il cosacco dormiva beatamente, colle spalle appoggiate al muro della catapecchia, e le mani strette intorno al fucile. Si udiva perfettamente il suo sonoro russare.

— Va, bestia selvaggia del Don, — mormorò Ursoff balzando rapidamente in piedi e scagliandosi innanzi colla baionetta calata.

La lama scomparve tutta intera nel petto del cosacco, in direzione del cuore. Il povero figlio delle selvagge steppe, che dormiva profondamente, intirizzito dal freddo e assopito da chissà quanti bicchieri di votka, borbottò appena qualche parola, si lasciò sfuggire il fucile e cadde in mezzo alla neve, come un albero sradicato da una raffica furiosa.