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104 Capitolo IX.


tratta solo di fargli una visita e di ricorrere ai grandi mezzi. Se voi tardavate a venire, avevo già deciso di andarlo a scovare io.

— Dove abita? Nel palazzo del barone? — chiese Fedoro.

— No, signore; dopo la partenza del barone si è ritirato in uno splendido padiglione che sorge in mezzo al giardino.

— Vive solo?

— Di notte non ha che un vecchio servitore, — rispose l’atman. — Oh!... Non ci darà troppo fastidio quell’uomo. —

Trasse di tasca un orologio e guardò:

— Sono appena suonate le dodici, — disse poi. — Abbiamo quindi ancora un’ora di tempo, poichè Olga ha promesso di recarsi dall’intendente del barone fra l’una e l’una e mezza. Signori, avete delle slitte con voi?

— No, — rispose Fedoro.

— Penserò io a farne venire. Ne teniamo sempre parecchie pronte per le nostre spedizioni e filano, ve lo dico io, perchè ci tengo ad avere buoni cavalli. —

Con un cenno chiamò il garzone.

— Fra mezz’ora che siano pronte quattro troike, — disse. — Le migliori e le più veloci, mi hai capito?

— Sì, atman.

— Che cosa fa Olga?

— Beve dello champagne con Demitri.

— Falla venire subito e manda Demitri a dormire. Non ho bisogno di lui questa notte.

— Va bene, atman. —

Il capo della gaida riaccese il sigaro, che aveva lasciato spegnere, poi vuotò un bicchiere a lenti sorsi, facendo grillettare il liquido spumante fra i denti, per meglio assaporarlo.

Aveva appena deposto il calice, quando una porta della vasta sala si aprì ed una fanciulla entrò, leggera come un uccello, avvicinandosi rapidamente alla tavola e facendo echeggiare uno scoppio di risa argentine.

Era Olga.

Tutti, eccettuato l’atman, non avevano potuto frenare un gesto di meraviglia. Avevano dinanzi una bellissima ragazza, con una folta chioma bionda, che le cadeva, in pittoresco disordine, sulla giacca di velluto rosso adorna di grossi alamari d’argento e di grossi bottoni d’egual metallo.