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42 Capitolo sesto


— Lasciate quei tristi ricordi, fanciulla. Vi fanno troppo male.

— Sono abituata ai colpi avversi del mio fatale destino, colonnello. Sono rassegnata.

— E cosa sperate da Romero?

— Nulla.

— Non vi credo, Than-Kiù.

— Ve lo giuro sugli spiriti dei miei avi, colonnello. Vado a pagare il mio debito e null’altro. Cosa potrei sperare?

— Chissà!... Che Teresita d’Alcazar sia perita nel naufragio. —

Un lampo brillò negli occhi del Fiore delle perle, ma poi disse con voce melanconica:

— La rimpiangerebbe forse troppo per sperare da lui un po’ d’affetto per la povera Than-Kiù.

— Chi?... Romero?...

— Sì.

— Eppure deve avervi amata immensamente, fanciulla. Un uomo, per quanto sia prode e deciso a tutto, non va a gettarsi nelle mani dei nemici per sottrarre alla prigionia una donna che non ama. Voi ben sapete che Romero, entrando nel mio campo e proponendomi quel cambio, perdeva d’un sol colpo la vita e anche l’amore di Teresita d’Alcazar.

— Sì, è vero... è vero, ma ha preferita Teresita, — mormorò Than-Kiù, con voce sorda.

— Guardate, fanciulla, mi sembra di vedere un punto nero scorrere sui flutti.

— Dove? — chiese ansiosamente la giovanetta.

— Laggiù... guardate diritto al mio dito.

— La giunca forse?...

— È mezzanotte ed i vostri compagni devono aver mantenuta esattamente la parola. Là!... Guardate... ecco i razzi!... —

Sull’orizzonte, proprio sopra quel punto nero che spiccava nettamente sui flutti argentei, si erano innalzate due sottili strisce luminose, le quali, dopo d’aver descritto un grand’arco, erano scoppiate spandendo all’intorno miriadi di punti azzurri e rossi.

— Sì, è la giunca — disse Than-Kiù. — «A mezzanotte segnaleremo la nostra presenza con due razzi» mi aveva detto Tseng-Kai, prima di lasciarmi.

— Dovevate rispondere?

— No, colonnello.

— Allora scendiamo e prepariamo il canotto. —

Lasciarono il bastione, scesero nel cortile dove li attendevano Sheu-Kin e Pram-Li e uscirono dal forte, incamminandosi verso le scogliere.