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280 Capitolo trentacinquesimo


— E perchè sei venuta qui?

— Per pagare il debito che avevo con lui.

— Quale?...

— Una notte, quando l’insurrezione stava per venire schiacciata dalle armi vittoriose dei tuoi compatrioti, e mentre noi combattevamo disperatamente sulle rive di Malabon, caddi prigioniera d’un colonnello spagnuolo.

La mia sorte non era dubbia: la fucilazione doveva attendermi all’indomani. Romero, che allora amava ancora il Fiore delle perle, pur avendo dato il suo cuore alla Perla di Manilla, mi aveva strappato alla morte prendendo il mio posto. Te lo ricordi?...

— Sì, lo so e lo salvarono più tardi tuo fratello e mio padre.

— Ebbene quel debito mi pesava sul cuore e sono venuta qui a pagarlo, salvando te e lui. Ora giudicami, Teresita d’Alcazar. —

La spagnuola fece atto di gettarsi fra le braccia della giovane chinese, ma ebbe ancora un lampo di gelosia.

— Non lo ami più?...

— No.

— Me lo giuri?...

— Sullo spirito dei miei padri.

— Ho paura di te, Than-Kiù!

— T’inganni, poichè il mio cuore batte ormai per un altro uomo, valoroso al pari e forse più di Romero.

— Sorella mia!...

Teresita si era gettata fra le braccia della giovane chinese, e come la notte che si erano vedute per l’ultima volta sul molo di Binondo, si erano strette reciprocamente, ma questa volta forse senza rancore.

Un fischio, echeggiato al di fuori, le separò bruscamente.

— Cosa vuol dire? — chiese Teresita.

— È un segnale di Hong, — rispose Than-Kiù, la quale provò un sussulto.

— Chi è questo Hong?...

— Uno dei miei amici che mi hanno seguìta in quest’isola.

— E cosa significa questo segnale?

— Te lo dirò più tardi. —

La giovane chinese si avvolse nel suo mantello, fece cenno a Teresita di non seguirla, e uscì a rapidi passi.

Hong l’attendeva al di fuori, appoggiato al fucile.

— Romero sta per giungere, — le disse.

— Chi te lo ha detto?

— Bunga.

— È accompagnato dagli indigeni?