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270 Capitolo trentaquattresimo


incessantemente ordini ai suoi sudditi onde tutti i guerrieri avessero cibi e bevande in abbondanza.

Hong, che stava seduto fra il capo degli igoroti ed il Fiore delle perle, non si mostrava meno lieto. Pareva anzi che si fosse rappacificato col monarca, invitandolo di frequente, anzi troppo sovente, a brindare.

Però, al pari dei suoi compagni e di Bunga, si guardava bene dal riempire la sua tazza nei vasi dei capi e del monarca. Anzi il più delle volte, con un rapido colpo di mano, vuotava il liquido dietro le spalle, per non perdere l’equilibrio al momento opportuno.

A mezzanotte quasi tutti i guerrieri, che avevano mangiato a crepapelle e vuotato un numero enorme di vasi, erano in preda ad una ubriachezza così violenta da spaventare lo stesso Hong.

Litigavano di frequente minacciando di sbudellarsi a colpi di bolos o di kampilang o di parangs. Qualcuno era già caduto colla testa rotta e molti erano pure caduti come morti per l’eccessivo bere.

Gli igoroti, ritirati verso il bosco, guardavano e lasciavano fare, ben sapendo che nulla avrebbero guadagnato a intromettersi in quelle risse. Intanto i guerrieri cadevano a gruppi, sdraiandosi attorno ai falò, in una confusione indescrivibile. Solamente poche dozzine resistevano ancora, urlando, cantando e picchiandosi.

Nemmeno il sultano aveva potuto resistere a quelle bevute fenomenali, e attorno a lui uno ad uno erano anche caduti i suoi capi.

L’oppio mescolato al vino aveva fatto il suo effetto.

— Credo che il momento sia opportuno, — disse Hong, volgendosi verso Bunga.

— Cosa dobbiamo fare?

— Prendere questo ubriacone ed imbarcarlo sulla sua canoa.

— E dei suoi guerrieri cosa faremo?

— Prima li disarmeremo poi li cacceremo sotto le tettoie. Domani, quando questi ubriachi saranno diventati un po’ ragionevoli, discorreremo.

— Vuoi uccidere il sultano? — chiese Bunga con ispavento. — I suoi sudditi lo vendicherebbero e massacrerebbero i miei.

— Non temere, — rispose Hong. — Nessuno ardirà molestare la tua tribù, te ne do la mia parola. D’altronde non ho alcuna intenzione di mandare all’altro mondo questo ubriaco. Pram-Li, Sheu-Kin, aiutatemi!... —

Il sultano, pieno come un otre, era caduto addosso al suo ministro e russava di già. Non vi era quindi da temere che opponesse resistenza.

Hong gli levò la scimitarra ed i kampilang che teneva alla cin-