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Il sultano di Butuan' | 269 |
ed è appunto per questo che sono venuto qui per farmi regalare gli uomini bianchi. Sono molti anni che desidero avere degli schiavi dalla pelle pallida, dei cristianos.
— Allora andrai a cercarteli, non essendo più qui.
— Mi dirai almeno dove sono fuggiti.
— Verso il Bacat.
— Sta bene, — disse il sultano, con accento minaccioso. — Noi li prenderemo e poi faremo tagliare la testa all’uomo che mi avrà ingannato.
— Vuoi parlare di me? — chiese Bunga.
— No, dell’altro, — disse il sultano con un sorriso da tigre. — Tu sei mio amico.
— Lo sapevo già, — rispose il capo degli igoroti, forzandosi a sorridere. — Noi salderemo la nostra amicizia con un gran banchetto.
— Che ci darai?
— Questa sera, ti ho detto.
— Grazie, amico, conto su di te. —
Capitolo XXXIV
Gli ostaggi
Alla sera il villaggio fiammeggiava da un capo all’altro.
Giganteschi falò ardevano presso le capanne ed intorno alla piccola piazzaforte, e in mezzo alle vampe crepitavano e arrosolavano maiali e babirussa in così gran numero da far andare in sollucchero i guerrieri del sultano.
Drappelli d’igoroti, carichi di vasi di terra ripieni di vino di palma, uscivano senza posa dalla foresta, deponendoli intorno ai fuochi dove già si erano radunati i guerrieri del sultano.
Dinanzi alla piccola cittadella, su di una grande stuoia variopinta, aveva preso posto il monarca in compagnia dei suoi capi, di Bunga, Hong, Than-Kiù, di Sheu-Kin e del malese.
Quattro porci arrostiti interi, dei galli selvatici, frutta in grande quantità e molti vasi ricolmi di vino, erano stati deposti su quella tavola improvvisata ed il sultano aveva dato il buon esempio mangiando per due e bevendo per quattro.
Bunga si mostrava, o almeno fingeva di mostrarsi amabilissimo, incitando il sultano ed i suoi capi a far onore al banchetto e dando