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268 | Capitolo trentatresimo |
Così parlando il sultano guardava Bunga di sotto le palpebre per vedere l’effetto che producevano quelle parole e sorrideva malignamente. Il capo però era rimasto impassibile e si era limitato a rispondere:
— E tu hai fatto bene, sultano, a venire con tante persone. È un onore che non m’aspettavo.
— Bene, bene: mangia e bevi. Per il momento tu sei qui mio ospite.
Da uno dei suoi servi fece offrire ai due chinesi, al malese ed a Bunga del maiale arrostito, del sagu, delle frutta ed alcuni vasi di vino di arenga saccarifera lievemente fermentato, quindi del betel da masticare.
Quando il pranzo fu terminato, il monarca riprese la conversazione indirizzandosi a Bunga.
— Ora, — disse, — parliamo degli uomini bianchi. —
Il capo degli igoroti aggrottò la fronte e guardò Hong. Il chinese aveva risposto con un legger cenno del capo che voleva dire: «Sii tranquillo».
— Vuoi dirmi dove si trovano? — chiese il sultano.
— Ti ho già detto che sono fuggiti tre giorni or sono. —
Il monarca sorrise.
— No, — disse poi. — Una delle mie spie mi ha raccontato, or ora che ieri mattina l’uomo bianco che ha con sè la donna, è stato veduto sulle rive del lago.
— Dove? — chiese Bunga con sorda ira.
— Presso le tue capanne.
— Quella spia ti ha ingannato, — rispose il capo degli igoroti, con tono reciso.
— Allora farò tagliare la testa a quell’uomo che ha voluto scherzare con me.
— E farai bene.
— Lo credo anch’io, però...
— Vuoi dire?
— Se l’uomo che mi ha ingannato fossi tu, cosa meriteresti?...
Bunga si era alzato di scatto, gettando sul sultano uno sguardo irato.
— Io sono capo indipendente, — gridò, — e non già tuo suddito. Io ti ho ascoltato qui da amico, ho messo a tua disposizione il mio villaggio, ti ho lasciato saccheggiare le mie provviste e vieni a minacciare?...
— Non ne ho mai avuta l’intenzione, — rispose il sultano, con accento lievemente ironico. — Anzi io ti considero come il mio migliore amico