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Il sultano di Butuan' | 265 |
— Forse sono già molto lontani.
— Io so che fra di loro vi è una donna ammalata, quindi non possono aver percorsa molta via. I miei guerrieri vincono alla corsa i babirussa e li raggiungeranno. Bunga, il sultano di Butuan domanda ospitalità.
— Le mie capanne sono tue, — rispose il capo degli igoroti a denti stretti.
— Prendo possesso della tua dimora.
Poi volgendosi verso gli igoroti che occupavano le terrazze, aggiunse:
— I miei guerrieri hanno fame: portate loro dei viveri e mettete a loro disposizione le vostre capanne.
— Ed i miei sudditi, ove andranno? — chiese Bunga.
— Vi è la foresta per loro, — rispose brutalmente il monarca. — Andiamo!... —
Pochi minuti dopo il sultano e la sua scorta prendevano possesso della dimora del capo, cacciando tutti gli igoroti che vi si trovavano, compresi i figli del povero proprietario.
I guerrieri, legate le canoe alla spiaggia, avevano invaso il villaggio, facendo sgombrare le abitazioni e le terrazze.
Non erano ospiti, erano veri padroni o meglio dei ladroni prepotenti, che, certi dell’impunità, si credevano autorizzati a fare man bassa su tutto.
I poveri igoroti, impotenti a far fronte a quell’orda selvaggia, per paura di peggio, si erano affrettati a lasciare libero il campo, radunandosi sul margine della foresta onde proteggere, in caso disperato, le loro donne che si erano nascoste in mezzo alle fitte piante.
Solamente a Bunga era stato permesso di occupare un gruppetto di vecchie capanne che si trovavano sulla sponda del lago, su di una palafitta. Con lui si erano uniti i chinesi, ai quali anzi il sultano aveva mandato in dono due porci che aveva scovati nel villaggio, come se fossero cosa sua, ed alcuni canestri contenenti delle radici mangerecce, del pane di sagu e del vino bianco di palma.
Bunga era furente, essendosi sempre considerato come un capo indipendente, e non un suddito di quel brutale sultanaccio.
— Finirà male, — aveva detto a Hong ed a Than-Kiù.
— Per te o per lui? — aveva chiesto il chinese, con calma.
— Forse per ambedue.
— Allora tu mediti qualche vendetta.
— Gli igoroti sono uomini liberi e non devono tollerare simili umiliazioni.
— Finalmente! — esclamò il chinese. — Io aspettavo questa parola. Cosa vuoi fare?