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240 Capitolo trentesimo


— È un esploratore di certo, — disse Hong, curvandosi verso Than-Kiù. — Se fosse solo non ci sarebbe da spaventarsi.

— Non possiamo far uso delle nostre armi; quindi dopo d’averci scoperti andrà a chiamare i compagni, — rispose la giovane.

— Non gli lasceremo il tempo.

— Come ucciderlo?

— A questo penserà Tiguma; le frecce non fanno rumore e danno egualmente la morte. Odi?

— Sì, un altro ramo spezzato.

— Lo spione ci è vicino.

— Sì, odo agitarsi le foglie.

— Guardalo, Than-Kiù. —

I rami d’un cespuglio si erano aperti ed una testa era comparsa.

L’uomo rimase immobile alcuni istanti, guardando attentamente la barriera di spine e la capannuccia, poi, soddisfatto senza dubbio da quell’esame, si ritirò con precauzione, non così presto però da salvare la vita.

Pram-Li si era rapidamente curvato verso Tiguma, dicendogli:

— Uccidilo! —

Un sibilo leggero attraversò l’aria ed il dardo mortale andò a piantarsi proprio fra le spalle dello spione.

Il selvaggio, sentendosi ferito, aveva mandato un urlo feroce. Con una mano si strappò il cannello, coll’altra afferrò il kampilang, e si scagliò verso la barriera.

Ormai aveva indovinato che i nemici si erano nascosti colà.

L’effetto del veleno si fece sentire quasi subito. Il selvaggio non era ancor giunto dinanzi alle spine, quando fu visto arrestarsi di colpo, poi vacillare, quindi cadere all’indietro colle braccia aperte.

— È morto, — disse Tiguma.

Ad un tratto impallidì. In mezzo alla foresta erasi udito un grido bizzarro che non doveva essere stato mandato nè da alcun animale nè da alcun volatile.

— Siamo perduti! — mormorò involontariamente.