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228 Capitolo ventinovesimo


cando di piantargli in una gamba i suoi denti velenosi; ma Hong lo aveva prevenuto.

Con una spinta poderosa allontanò l’isolano a cui la paura aveva paralizzato le gambe, poi stese rapidamente il braccio armato di coltello.

Il rettile vi si era gettato sopra per mordere. La lama, abbassata bruscamente dal chinese, lo colpì di traverso, recidendolo in due.

— Muori, — disse Hong con disgusto, calpestando il corpo che si contorceva disperatamente. — Preferirei affrontare una tigre piuttosto d’aver a fare con questi ributtanti rettili. —

Scavalcò i due pezzi che non avevano ancora cessato di dibattersi e si cacciò sotto le piante. Vindhit, rimessosi dal terrore, lo aveva raggiunto subito assieme al malese.

— Quale via prendiamo? — chiese Pram-Li.

— Saliamo, — rispose il giovane selvaggio, indicando la vetta della collina, la quale formava come due gobbe molto pronunciate.

Il bosco diventava sempre più folto di passo in passo che i tre uomini si approssimavano alla cima. Ai grandi alberi si succedevano cespugli foltissimi, che non permettevano quasi alcun passaggio.

Vindhit ed i suoi due compagni furono costretti a gettarsi carponi ed avanzare strisciando come i rettili, non osando scostare le cime di quelle piante.

Il campo dei cacciatori di teste doveva essere vicinissimo. Ad intervalli si udivano delle voci umane.

— Deviamo un po’, — disse l’isolano. — Vi può essere qualche sentinella in questi dintorni.

— Fermi, — disse in quel momento Hong. — Vi è qualcuno che si avanza!...


Capitolo XXX

La liberazione di Tiguma

A quel comando tutti e tre si erano cacciati sotto un cespuglio, rimanendo immobili.

A poca distanza si udivano muoversi i rami, come se qualcuno cercasse di aprirsi il passo fra quei fitti vegetali.

Poteva essere un animale che sfuggiva l’accampamento, e poteva anche essere qualche sentinella dei cacciatori di teste in esplorazione.