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210 | Capitolo ventottesimo |
Hong e Pram-Li mossero incontro a lui, facendo dei gesti amichevoli.
— Non temere, — disse Hong. — Noi siamo gli amici di Tiguma.
Parve che il giovane selvaggio non lo avesse compreso. Certamente ignorava la lingua chinese.
— Non mi hai capito?... — chiese Hong.
Vindhit era rimasto immobile, guardando curiosamente i due uomini, poi alzò una mano e posò un dito sul petto del malese, pronunciando alcune parole.
— Sì, — rispose Pram-Li, sorridendo. — Io sono un malese. —
Il selvaggio sorrise, poi disse nella lingua che solo Pram-Li poteva comprendere:
— Voi siete gli amici di Tiguma.
— Ci voleva poco a saperlo, amico.
— Tiguma si trova nelle mani dei cacciatori di teste.
— Lo sappiamo.
— Lo abbandonerete al suo triste destino?...
— No, — disse Pram-Li. — Noi cercheremo di liberarlo. —
Un lampo di gioia balenò negli occhi nerissimi ed espressivi del selvaggio.
— Io vi aiuterò a salvare il mio compagno d’infanzia, — disse.
— Corre pericolo di venire ucciso, forse?...
— Sì, fra tre giorni Tiguma non sarà più vivo. Appena gli uomini del bagani saranno ritornati al loro villaggio, l’amico mio verrà immolato per placare l’anima irritata del capo.
— È molto lontano il villaggio?
— A due giornate di marcia, verso il lago di Linguasan, — rispose Vindhit.
— Credi tu che noi riusciremo a raggiungere i cacciatori di teste prima che possano giungervi? —
Il selvaggio fece un gesto negativo.
— Sono già lontani, — disse poi.
Pram-Li si volse verso i suoi compagni e li informò dell’esito di quel colloquio.
— La cosa è grave, — disse Hong. — Spingerci fino al villaggio dei cacciatori di teste mi sembra un’impresa eccessivamente ardua. Cosa dice il Fiore delle perle?
— Può darsi che sia pericolosissima; penso però, Hong, che noi commetteremmo una cattiva azione abbandonando quel bravo giovane.
— Dovremo affrontare mille gravi difficoltà, Fiore delle perle. Non siamo che in quattro e forse i cacciatori d’uomini sono parecchie centinaia.