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206 Capitolo ventottesimo


— È inutile, — rispose Hong. — Troveremmo del fumo e la nostra presenza verrebbe subito tradita. E poi questo è un buon posto per difendere la caverna, tanto più che presso di noi vi sono delle rocce che possono servirci da riparo.

— Zitto, — disse Tiguma. — Mi sembra che gli uomini del bagani siano più vicini a noi di quello che sospettiamo.

— Hai veduto qualche cosa? — chiese Pram-Li.

— Tacete, degli uomini parlano nella galleria. Aspettatemi qui. —

Il giovane selvaggio postosi fra i denti il coltello datogli da Hong si mise a strisciare entro la galleria.

Aveva percorso una quindicina di passi quando udì, a breve distanza, un bisbiglio sommesso. S’arrestò appoggiandosi contro la parete ed ascoltò.

— Li odi? — chiedeva una voce.

— No, — rispondeva un’altra.

— Che siano fuggiti?

— È impossibile. Questa galleria non deve avere alcuno sfogo.

— Pure non siamo ancora giunti in fondo. L’hai mai esplorata tu?

— Io no.

— Dove finirà?...

— È quello che mi chiedo.

— Ci seguono sempre gli altri?...

— Mi pare di udirli strisciare.

— Questo silenzio mi inquieta.

— E anche me.

— Che il fumo abbia soffocati i chinesi?...

— È quello che pensavo anch’io.

— O che siano andati a morire in qualche antro che noi non abbiamo veduto?...

— Allora andiamo a prendere qualche tizzone.

— E se i chinesi sono ancora vivi? Tu sai che hanno delle armi da fuoco.

— E che sanno adoperarle molto bene.

— Cosa si fa?

— Andiamo innanzi. Abbiamo giurato di vendicare il bagani e non ce ne andremo se non avremo le teste dei chinesi.

— Avanti. —

Tiguma aveva ascoltato quel dialogo senza perdere una sola sillaba. Sapendone abbastanza, stava per ritirarsi, quando si sentì urtare.

Istintivamente afferrò il coltello e menò un colpo deciso.

Un urlo ruppe il profondo silenzio che regnava nella galleria, un urlo di dolore che terminò in un rantolo strozzato.