Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
140 | Capitolo diciannovesimo |
— La selvaggina non mancherà, Pram-Li — rispose Hong.
Divorarono la loro parca colazione, si dissetarono nella laguna, si divisero le munizioni, poi, orizzontatisi colla bussola e colla carta dell’isola che Hong teneva rinchiusa in una scatoletta di latta assolutamente impenetrabile all’acqua, si misero in cammino costeggiando quel grande bacino che pareva si tramutasse in paludi.
Dapprima marciarono in mezzo ai canneti, non osando cacciarsi nella foresta, ma dopo due o tre chilometri, avendo osservato che gli alberi crescevano fitti ed adorni di grandi foglie, offrendo dei nascondigli quasi inaccessibili, s’affrettarono a raggiungerli, cacciandosi in mezzo a macchioni giganteschi.
Quella boscaglia era una delle più maestose e delle più ricche di alberi svariati che fino allora avessero percorso. Forse prima di loro nessuno, nemmeno i selvaggi, l’avevano attraversata, poichè non si vedevano in alcun luogo tracce umane, nè il più piccolo sentiero.
In mezzo a quel caos di vegetali, in mezzo a quelle reti gigantesche di calamus e di liane d’ogni specie, crescevano l’un accanto all’altro i più pregiati ed i più splendidi alberi della flora malese.
Qui erano ammassi di piante del pepe, serpeggianti ora al suolo ed ora pendenti, come festoni, dai tronchi più annosi e più grossi, già cariche di grappolini d’un bel rosso corallo o bruno oscuro, a seconda dello stato di maturità; più oltre, in mezzo ad ammassi di radici mostruose, s’alzavano i massicci tronchi degli alberi della canfora, misuranti non meno di cinque metri di circonferenza; poi più innanzi, fra i betel dalle foglie giganti ed i banani selvatici, s’alzavano gruppi di sagu contenenti la preziosa fecola colla quale si fa un ottimo pane, e gruppi di certe specie di pini dai quali, facendo una incisione, si ricava quella ragia odorosa, così ricercata, chiamata belzoino; poi splendidi palmizi sostenenti, alle loro estremità, quella specie di mandorle lunghe un metro chiamate cavoli palmizii, poi sandali che producono quella polvere tanto odorosa, tek immensi, ebani, mangostani carichi di frutta squisite che in bocca si fondono come gelati, ed un numero immenso d’aranci dalle frutta più o meno grosse e succose, ma impregnate d’uno sgradevole sapore di trementina.
Fra quelle foglie, che erano quasi tutte grandissime, ed in mezzo alle liane, splendidi volatili cicalavano a gola spiegata, in piena sicurezza. Si vedevano coppie di superbi fagiani dalle penne giallo-dorate e picchiettate; grossi angang od uccelli rinoceronti, così chiamati perchè portano sul becco un’escrescenza cornea che dà loro un bizzarro aspetto; colombe coronate, splendenti d’azzurro e d’oro; epimacus magnifici dalle penne vellutate e la gola ed il petto verde-