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8 | Capitolo secondo |
turna, e navigava qualche cannoniera vomitante nere colonne di fumo che s’alzavano alte assai, spiccando vivamente sul luminoso orizzonte.
Il vocìo assordante degli abitanti di Binondo si spegneva rapidamente. Le gettate, così affollate durante il giorno di spagnuoli, di tagali, di malesi, di chinesi e di giapponesi, si spopolavano ed il chiacchierìo si perdeva in lontananza, verso i quartieri più interni o verso Manilla.
Non si udivano più echeggiare che la monotona canzone di qualche barcaiuolo indigeno, ed in alto la squilla argentina di qualche campana che il vento portava dalla Ciudad.
Than-Kiù, con la testolina sempre appoggiata alla mano, guardava in silenzio il sole tramontare. Pareva che i suoi sguardi cercassero laggiù, dove il mare si confondeva coll’orizzonte, qualche cosa, forse una traccia che le onde ormai da tanto tempo avevano cancellato.
Talvolta staccava gli occhi da quel punto e lentamente li fissava all’estremità di Binondo, presso il ponte del Passig ed allora un fremito agitava la sua persona, mentre agli angoli delle palpebre si vedevano spuntare lentamente due lagrime che a poco a poco ingrossavano, rotolando per le pallide gote.
Cercava il luogo dove quella notte fatale aveva dato l’ultimo addio a Romero che la donna bianca le rapiva, o sulle pietre del suolo cercava ancora le macchie di sangue sparse dai capi dell’insurrezione e dall’eroico Hang-Tu?...
Pram-Li e Sheu-Kin tacevano, e non staccavano gli occhi dalla fanciulla. Forse indovinavano i tristi pensieri che tormentavano il cuore ed il cervello della povera Than-Kiù.
Intanto il sole era scomparso fra le due nuvole e dopo un breve crepuscolo le tenebre erano cominciate a scendere rapide sulla baia, come una immensa volata di neri corvi. La luna si alzava allora sopra le creste della Sierra e saliva in cielo tingendo d’argento le acque, seguìta e preceduta da miriadi di stelle.
Ogni rumore era cessato sulla gettata di Binondo e anche la campana della Ciudad più non faceva udire i suoi rintocchi. Sola la brezza notturna sibilava, ad intervalli, ingolfandosi fra le tende di seta della cameretta.
Sheu-Kin si era curvato verso Than-Kiù, dicendole:
— Ricoricati, padrona. —
La giovane chinese non rispose. Ora non guardava più nè il mare, nè la gettata di Binondo, nè il ponte del Passig, nè la città: guardava l’orizzonte, come se spiasse la comparsa di qualche nuovo astro od un fanale che indicasse l’avanzarsi di qualche nave.