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L’avvelenatore. 55

intimazioni di Sao-King e divorando ingordamente le provviste sparse per la coperta.

— Salvateli! Cercate di fare qualche cosa per loro! — esclamò il capo dei coolies.

— Non vi è nulla da fare nè da tentare — rispose con voce disperata l’ufficiale argentino. — Sono tutti condannati!

— Andiamo dal commissario. Forse può strapparli alla morte!

— Non potrà far nulla, Sao-King. Nessuno può guarire chi ha bevuto il veleno.

— Venite! Vi prego! —

L’ufficiale, anche per sottrarsi alla vista di quell’ecatombe, lo seguì nel quadro.

Il signor de Ferreira, avendo udito il grido disperato dell’ufficiale, stava alzandosi aiutato da Ioao.

Quando vide il chinese ed il suo compagno comparire coi volti sconvolti e gli occhi strambuzzati, capì che qualche grave avvenimento era accaduto a bordo della nave.

— Salvateli, signore! — gridò Sao-King, precipitandoglisi incontro.

— Chi? — domandò il signor de Ferreira, stupito ed inquieto.

— I miei compatrioti muoiono!

— Chi li uccide? — gridò il commissario allungando la destra verso una pistola che stava sul canterano. — Il capitano?

— Il veleno, signore! — esclamò l’ufficiale. — Essi hanno bevuto l’aguardiente in cui l’infame Carvadho aveva mescolato l’arsenico.

— Gran Dio! — gridarono Ioao e suo fratello.

— Non lasciateli morire, signore! — gridò Sao-King.

— Hanno bevuto l’aguardiente — balbettò il signor de Ferreira. — I disgraziati sono perduti!

— Si può tentare nulla? — chiese l’argentino.

— Nulla, — rispose il commissario, — l’arsenico non perdona.

Poi appoggiando una mano sulla testa del chinese, singhiozzante, aggiunse:

— Noi li vendicheremo, Sao-King. È tutto quello che possiamo fare.

Aiutato da Ioao attraversò la cabina e si arrestò sulla scala del quadro.

La coperta della nave, illuminata dalle venti torce legate alle murate, presentava in quel momento uno spettacolo atroce.

Più di trecentocinquanta corpi umani, si rotolavano e si contorcevano, aggrovigliandosi come serpi.

Urla strozzate, sorde imprecazioni, gemiti strazianti sfuggivano dalle labbra di quei disgraziati.

Di quando in quando qualcuno, dopo sforzi reiterati, s’alzava in piedi, rimaneva un momento in equilibrio battendo le braccia nel vuoto, poi piombava sul tavolato con sordo rumore, come fulminato.