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L’avvelenatore. 53

Presero sotto le braccia il ferito e essendo stata rialzata una delle scale, attraversarono la coperta per condurlo nel quadro.

I chinesi aprirono rispettosamente le loro file dinanzi a loro. Appena però li videro scomparire nel quadro, tutti quegli uomini si dispersero per la nave vociferando.

Sembravano collegiali in vacanza. Si cacciavano dappertutto, salivano sulle griselle spingendosi fino alle crocette e sui pennoni, poi ridiscendevano per frugare nelle cabine e nella camera comune.

Ad un tratto un grido echeggiò:

— Alla dispensa! Facciamo orgia! —

Una valanga d’uomini si rovescia verso prora, sfonda la murata e si precipita nella dispensa.

Un urlo di trionfo annuncia agli uomini rimasti in coperta che i viveri sono stati trovati.

Casse e barili vengono portati fuori e aperti a colpi di scure, mentre quattro chinesi collocano i due recipienti colmi d’aguardiente su due casse rovesciate.

— Compagni! — grida una voce. — Beviamo il tafià del comandante. —

Del tafià! Quale festa per quei disgraziati che dal loro imbarco non avevano mai più ingollata una goccia di liquore!

Tutti si gettano verso i due barili, allungando le mani, mentre altri rovesciano in coperta le casse di biscotto, di farina, i barili ripieni di porco salato e di prosciutti, di frutta secche e schiacciano e contorcono le scatole contenenti le conserve alimentari.

I due barili vengono traforati con un punteruolo e due zampilli color dell’ambra sprizzano cadendo, con un rumore che allieta tutti quegli orecchi, nelle tazze, nelle scodelle, nei tondi, perfino nei recipienti che prima avevano contenuto l’olio nelle scatole appena vuotate.

È un’orgia, è un delirio! Solo Sao-King, ritto sul castello di prora, rimane impassibile e non prende parte alla festa.

L’improvvisato capitano veglia alla sicurezza comune. Teme un ritorno offensivo delle scialuppe e guarda ansiosamente il mare che brontola cupamente, distendendo le sue larghe ondate color della pece.

I suoi compatrioti non si sono nemmeno accorti della sua assenza.

I disgraziati ingollano il veleno a fiotti e saccheggiano con avidità bestiale le provvigioni. Merluzzo secco, porco salato, conserve, presciutti, frutta secche, spariscono sotto quelle migliaia di denti formidabili.

Finalmente, dopo tanti giorni di fame, possono saziarsi e bere quel delizioso tafià che rode la gola e incendia le viscere.

Ad un tratto un grido di disperazione echeggia verso il quadro:

— Disgraziati! Che cosa avete fatto? —

Quel grido è sfuggito dalle labbra dell’ufficiale argentino, comparso in quel momento in coperta, dopo d’aver medicata la ferita del signor de Ferreira.