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46 Capitolo Sesto.

I marinai, sfiniti da quella lunga lotta che dura da tre ore e per la maggior parte feriti, cessano il fuoco.

Le tenebre sono ormai diventate così fitte da non poter discernere i chinesi sdraiati dietro le loro barricate.

Il capitano, medicatosi alla meglio la ferita, ordina l’appello.

— Mancano sedici uomini, — risponde il bosmano, — e nove sono feriti.

— È finita, — disse il gigante con voce rauca. — Se restiamo qui, domani nessuno di noi rimarrà vivo.

— Che cosa pensate di fare, signore? — chiese un vecchio gabbiere che aveva la fronte insanguinata.

— Non ci rimane che d’abbandonare la nave, — rispose il capitano con ira.

— E perdere tutto?

— Non riusciremo più a domare la rivolta.

— No, signore — disse l’ufficiale argentino. — I chinesi ormai sono padroni della nave.

— Le scialuppe sono pronte, Francisco?

— Sì, capitano, — rispose il bosmano.

— Hai fatto mettere i viveri?

— Per tre settimane.

— E munizioni?

— Dieci libbre di polvere e palle in quantità. Ove andremo?

— Le isole più vicine sono quelle di Tonga.

— Sono abitate da antropofaghi, signore, — disse Vargas.

— Se ci assalgono ci difenderemo. Fate mettere in acqua le scialuppe senza che i chinesi se ne accorgano. Due gabbieri con me!

— Che cosa volete fare capitano?

Un lampo sinistro illuminò gli occhi del gigante.

— Credete che io lasci la nave senza vendicarmi? L’arsenico strazierà le viscere di quei cani dal muso giallo.

— Risparmiate quei disgraziati, capitano! Non macchiatevi d’un così atroce delitto!

— Siete troppo tenero voi! — esclamò il gigante. — Commiserare quei bricconi! A me i gabbieri!

Due uomini erano accorsi alla sua chiamata.

— Dov’è l’arsenico? — chiese loro.

— Nella cassa di Moremo, — risposero.

— Andate a prendere il cartoccio e seguitemi nella dispensa.

Scese nella camera comune dell’equipaggio passando pel piccolo boccaporto del castello e aperta una porta passò nella dispensa.

Vi erano colà casse di biscotti, di farina, di zucchero, barili di carni salate ed affumicate, di frutta secche, di prosciutti e quattro barili ripieni d’aguardiente.

— Questi saranno, i primi bevuti, — disse, con un sorriso atroce. — Vuotateli e poi state allegri.