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30 Capitolo Quinto.

Pareva che la maledizione pesasse su quella povera nave perduta nell’immensità dell’Oceano Pacifico.

La punta meridionale della Nuova Caledonia era già stata girata da parecchi giorni e l’Alcione era stato imprigionato in quel vasto tratto di mare che separa l’isola sopra accennata, la Tonga-Tabù, le Kermedes ed il piccolo gruppo di Norfolk, il terribile penitenziario dei malfattori inglesi ed australiani.

Il commissario del governo e suo fratello, impotenti a resistere al calore che regnava nel quadro, avevano ottenuta la libertà, ma si erano ben guardati dall’accostarsi al capitano.

Si studiavano anzi di sfuggirlo tutte le volte che lo vedevano avvicinarsi.

Il gigante era d’altronde molto cambiato.

Lo si vedeva visibilmente preoccupato e anche molto spaventato pel pessimo andamento delle cose.

Dobbiamo però dire che verso i chinesi non si era mostrato più umano, anzi pareva che fosse diventato più accanito contro quei disgraziati per indebolirli maggiormente ed impedire loro di ribellarsi.

Pareva anche che i coolies fossero giunti al colmo dell’esasperazione. Ogni volta che un cadavere veniva issato attraverso la grata per essere gettato ai pesci-cani, sempre numerosi attorno alla nave, le urla e le loro minacce acquistavano una tale intensità da far impallidire tutti.

Pure prevedendo, in un tempo più o meno lontano, uno scoppio tremendo, il capitano aveva fatto portare in coperta quattro casse di lacera-piedi e distribuire all’equipaggio fucili e coltellacci e raddoppiare le sentinelle alle due tramezzate di prora e di poppa.

Sentiva per istinto che il giorno della rivolta non doveva essere lontano e si teneva pronto a soffocarla nel sangue fino dal principio.

— Se l’aspetta — aveva detto un giorno il commissario al suo giovane fratello, mentre un altro cadavere veniva precipitato nelle bocche spalancate dei charcharias.

— Credi Cyrillo che questi chinesi tenteranno qualche cosa di serio? — aveva chiesto il giovane.

— Sì, Ioao. Sono giunti agli ultimi limiti dell’esasperazione.

— E che cosa succederà allora?

— Un orribile massacro.

— Che costerà ai chinesi torrenti di sangue, è vero fratello?

— Chi può dirlo? Pensa, che sono ancora quasi quattrocento.

— Indeboliti però dalle fame e dalla sete ed inermi — disse il giovane.

— Lo ammetto, Ioao, ma pensa che cosa accadrebbe se questi quattrocento uomini, resi furiosi dai cattivi trattamenti, potessero rovesciarsi in coperta.

Forse le armi da fuoco non sarebbero sufficienti a respingerli nè i lacera-piedi a trattenerli — disse il commissario.