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Le stragi della peste. 29

— Sono uomo finito, – brontolò l’appestato. — Siano maledetti i chinesi che hanno portato la peste a bordo.

— Sei giovane e robusto e puoi guarire.

— Che cosa fai Francisco! — chiese, vedendo il bosmano curvarsi come se volesse sollevarlo.

— Ti porto nella cabina del cassero.

— Ti infetterà la peste.

— Non occuparti di questo. D’altronde anche il capo dei coolies ha portato i morti ed è ancora vivo. —

Ciò detto sollevò il disgraziato fra le robuste braccia e lo trasportò nella cabina del quadro.

La sera istessa però il marinaio veniva gettato ai pesci-cani rinchiuso nella sua amaca, con una palla di cannone legata ai piedi.

— Aspettiamo che tocchi a me, ora — disse tristamente il vecchio bosmano, quando lo vide scomparire fra le onde e gli squali slanciarsi sulla preda. — E quanti mi seguiranno dopo?

Orsù, andiamo a tracannare un sorso d’aguardiente e accada quello che si vuole. —



CAPITOLO V.

La rivolta dei coolies.


La morte del giovane marinaio aveva gettato lo scompiglio fra l’equipaggio.

Il terribile morbo che prima sembrava localizzato nel frapponte, aveva ormai fatta la sua comparsa anche in coperta e tutti prevedevano, con terrore, stragi immense.

Tutti gli abiti appartenuti al morto, compresa la branda, erano stati prontamente gettati in mare e la cabina del quadro era stata subito disinfettata con acqua di calce.

Sarebbero bastate quelle precauzioni per arrestare il male? Nessuno lo sperava.

Per colmo di sventura l’Alcione era stato preso dalle calme del Tropico del Capricorno, riducendo a nulla la sua marcia.

Era molto se in ventiquattro ore riusciva a percorrere una dozzina di miglia con manovre eccessivamente faticose, dovendo correre continuamente bordate in causa dei venti contrarii.

La temperatura era diventata intanto eccessivamente calda. Il sole versava veri torrenti di fuoco sulla disgraziata nave, colando il catrame delle gomene e delle fessure della coperta e facendo screpolare i bordi.

I chinesi che soffocavano nel frapponte, mandavano incessantemente urla feroci, chiedendo aria e acqua, mentre la peste mieteva giornalmente nuove vittime.