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142 | Capitolo Ventesimo. |
il corpo, lacerandosi non solo le vesti, bensì anche la pelle dei fianchi.
Il corridoio invece di salire, scendeva dolcemente e non già verso l’interno del cono. Pareva che si dirigesse parallelamente alla spiaggia.
L’oscurità era diventata fitta, non potendo la scarsa luce della caverna giungere fino a quel punto, pure Sao-King non si arrestava.
Prima però di avanzare allungava le mani, temendo di cadere da un momento all’altro in qualche abisso.
Aveva già percorsi circa cento metri, quando s’accorse che il tubo s’allargava.
Il fracasso era diventato assordante. Un rombo incessante saliva dal fondo.
Il chinese tastò le pareti, poi si alzò facendo qualche passo innanzi.
Ioao, uscito pure dal tubo, lo aveva raggiunto, tenendosi stretto alle vesti del compagno.
— Dove siamo? — gli chiese, accostandogli le labbra ad un orecchio.
— Odo il mare a frangersi sotto di noi, — rispose Sao-King.
— Non osi andare innanzi?
— Vi è un abisso dinanzi a noi.
— Ho la pietra focaia e l’acciarino con un pezzo d’esca.
Il chinese stava per rispondere, quando, essendosi curvato innanzi, vide improvvisamente una luce verdastra che si diffondeva alcuni metri più sotto.
Fece un passo, poi un altro e s’accorse che vi era un vuoto.
— So dove ci troviamo, — disse.
— Spiegati meglio, — disse Ioao.
— Questo passaggio, come già aveva previsto, termina sopra una caverna sottomarina.
Avvicinatevi e guardate: la luce si rinfrange sull’acqua. —
Ioao s’avanzò di qualche passo e vide sotto di sè aprirsi uno spazio di alcuni metri, rischiarato dalla luce verdastra che ora impallidiva ed ora diventava più intensa.
— L’acqua! — esclamò.
— Sì, signor Ioao.
— Allora siamo salvi!
— Lo spero.
— Che sia molto vasta la caverna?
— Se non lo fosse molto, la luce non potrebbe rinfrangersi fino qui.
— Possiamo quindi attraversarla e uscire in mare. Io so resistere qualche minuto sott’acqua.
— Ed io ancor di più, signor Ioao.
Nella mia gioventù sono stato palombaro nelle peschiere di perle di Ceylan.