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Il pescatore di «tamadao». | 119 |
— Dimmi, hai conosciuto quei selvaggi?
— Non li ho mai veduti.
— Non sai se vi sono altri uomini bianchi su quest’isola?
— Sì e parecchi. Sono giunti quattro settimane or sono.
— E tu li hai veduti sbarcare! — esclamò Sao-King.
— Sì perchè davo allora la caccia ad un tamadao proprio di fronte a Hifo.
— Montavano una piroga.
— No, una grossa barca fornita d’un albero, ed era ridotta in così cattivo stato che appena giunta presso le scogliere calò a fondo.
— Quanti erano?
— Nove, — rispose il selvaggio dopo d’aver riflettuto qualche minuto.
— Chi li comandava?
— Un uomo dai capelli rossi e la barba pure rossa, molto alto e anche assai grosso.
— Come sono stati accolti dagli abitanti?
— Io non lo so perchè essendo calata la notte e avendo preso il tamadao che inseguiva, me ne andai.
— Chi comanda quel villaggio? — chiese Sao-King il quale si interessava straordinariamente a quel racconto.
— Atai, un valente guerriero che regna parecchie centinaia di uomini.
— Un uomo alto, magro, che ha un mantello dipinto in rosso?
— Sì, sì, — disse il pescatore.
— Il capo della piroga! — esclamò il chinese. — Ora comprendo la trama infernale ordita da quei miserabili! I bianchi si sono alleati agli antropofaghi per impadronirsi dell’Alcione.
— Ed a quale scopo? — chiese Ioao, a cui Sao-King aveva tradotta quella interessante conversazione.
— Non avete compreso?
— No, Sao-King.
— Essendo la loro barca affondata, vogliono prendere la nostra nave per andarsene da queste isole. La cosa è chiara, signor Ioao.
— Avrebbero potuto chiederci d’imbarcarsi con noi senza ordire quella trama.
— E chi avrebbe accettato a bordo dei forzati? Nè il signor Vargas, nè vostro fratello di certo.
E poi chissà quali progetti avranno fatto quei birbaccioni, sulla nostra nave.
Signor Ioao, andiamo da Tafua più presto che si può o noi la finiremo male.
— Fra poco vi giungeremo e non perderemo tempo, Sao-King. Appena potremo ottenere gli aiuti che tu speri, torneremo all’Alcione. —