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116 Capitolo Sedicesimo.

— Sì, signor Ioao. Là, guardate come l’isolano lo assale! Perdinci! Ha del fegato quel giovane!

Il pescatore si era scagliato risolutamente contro l’anfibio, aggrappandosi a una delle pinne pettorali e tentando di cacciargli nello sfiatatoio il legno.

La lotta non era senza pericolo.

Il tamadao comprendendo forse il pericolo che correva, si rovesciava violentemente ora su un fianco ed ora sull’altro cercando di schiacciare l’assalitore contro le rocce del fondo e vibrava poderosi colpi di coda, sollevando delle ondate spumeggianti. L’isolano però non lo lasciava. Resisteva tenacemente a tutte quelle scosse ed a quelle contorsioni sottraendosi ai colpi, di dente che potevano riuscirgli fatali.

Anzi si era avvinghiato ancora più strettamente al grosso pesce, stringendogli la coda fra le gambe, deciso a non lasciarlo prima d’avergli tappato lo sfiatatoio.

Già due volte aveva tentato il colpo, ma il tamadao con un contorcimento improvviso era riuscito ad allontanare il pericolo.

— Che riesca a ucciderlo? — chiese Ioao, il quale assisteva con vivo interesse a quella lotta ostinata.

— Certo, — rispose Sao-King. — A meno che faccia la sua comparsa qualche pesce-cane.

— Sono numerosi su queste coste?

— Tutte le caverne sottomarine sono abitate da squali. Ah! Ecco che il tamadao comincia a perdere le forze. Fra pochi minuti l’isolano riuscirà nel suo intento. Signor Ioao affrettiamoci.

— A che cosa fare?

— Ad impadronirci della piroga, — rispose il chinese. — Quando vi saremo dentro obbligheremo il suo proprietario a condurci dove vorremo.

— Il tuo progetto non mi pare cattivo, Sao-King.

— Mettiamolo in esecuzione. —

Mentre l’isolano s’affaticava contro l’anfibio, il chinese ed il giovane peruviano si slanciarono sulla riva e ritirata la corda vegetale trassero la piroga, balzandovi dentro.

Proprio in quel momento il pescatore era riuscito a cacciare il piuolo nello sfiatatoio dell’anfibio.

Certo ormai del fatto suo, aveva abbandonato l’enorme pesce per riguadagnare la sua barca.

Scorgendo quei due uomini, si era arrestato, guardando ora l’uno ed ora l’altro con diffidenza, non osando accostarsi alla spiaggia.

— Non temete, — disse Sao-King, nella lingua del paese. — Noi siamo amici del capo Tafua.

— E perchè vi siete allora impadroniti della mia barca? — chiese l’isolano, il quale aveva preso terra a quindici passi.