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La fuga. 111

— Che ci abbiano seguìti i selvaggi?

— Non avendoci trovati fra le rizophore del fiume si saranno messi certamente in caccia.

Abbiamo però marciato così rapidamente, da distanziarli di parecchie miglia.

— Cerchiamoci la colazione, Sao-King. Io muoio di fame.

— Visitiamo gli scogli prima, — disse il chinese. — Possiamo trovare dei crostacei e forse qualcuno di quei grossi granchi chiamati birgos.

Dove vi sono alberi di cocco se ne trovano sempre e vedo parecchie di quelle piante lungo il fiume.

— Quale relazione può esistere fra i granchi e gli alberi?

— Quei grossi crostacei amano assai le noci di cocco e anche le frutta dei pandani. —

Venite signor Ioao.

Si rimboccarono i calzoni ed essendo l’acqua assai bassa, poterono raggiungere facilmente le scogliere, ma non trovarono che un po’ d’uva marina del sapore dell’acetosella, assai ricercata dagl’isolani.

Ne fecero una piccola provvista, poi riguadagnarono la riva del fiume percorrendo la fronte della boscaglia, raccogliendo parecchi cirau, che sono specie di poponi piccoli, verdi all’esterno e colla polpa bianca d’una dolcezza perfino nauseante e che ha un po’ il gusto del burro; dei mongoi, frutta saporitissime, grosse come una piccola pesca colla buccia rossa e la polpa candidissima avente il gusto delle nostre ciliegie ed alcune noci di cocco non giunte ancora a perfetta maturanza e perciò più gustose.

Procedendo più innanzi riuscirono anche a scoprire un puarer o albero del pane, pianta preziosissima e tenuta in gran conto anche dagli abitanti delle isole polinesiane.

La polpa di quelle grosse frutta, dalla buccia rugosa, forma la base del nutrimento degli indigeni sotto il nome di popoi.

Il frutto fresco ha un sapore dolciastro che ricorda il gusto di certe specie di zucche e un po’ anche quello del carciofo; però che dopo qualche tempo acquista un sapore acidulo e leggermente piccante.

Per conservare la polpa gli isolani pongono le frutta sopra il fuoco, lasciandovele fino a che la scorza sia quasi consumata, poi mettono la polpa che è giallognola, spugnosa e malleabile in un tino manipolandola e quindi pestandola con una mazza od una pietra.

Ottenuta una certa compattezza, la chiudono entro buche circolari scavate nel suolo e guarnite di foglie, coprendola accuratamente. In tale modo si conserva benissimo per parecchio tempo.

Per mangiarla basta stemperarla con un po’ d’acqua e metterla ad arrostire.

Sao-King e Ioao, raccolte alcune frutta mature, accesero un fuoco