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90 | capo ix. |
gettava sguardi disperati a tribordo, a babordo, a prua ed a poppa, cercando, ma invano, di scoprire l’apertura.
— Ebbene, zio? chiese Cornelio, possiamo ancora salvare la nave?
— È impossibile! rispose Wan-Stael, facendo un gesto di rabbia. È troppo tardi!
— Abbiamo una pompa a bordo.
— E qui vi sono ormai duecento botti d’acqua.
— Se si potesse turare la falla?
— La vedi tu?... E noi non ci siamo accorti prima di questo nuovo disastro!...
— Possiamo cercarla; non vi è che un metro d’acqua per ora e...
— Zitto!...
Il capitano si era curvato verso l’acqua, tendendo gli orecchi. Verso poppa si udiva come un sordo mormorìo che pareva prodotto dall’irrompere d’una violenta corrente.
— È là!... diss’egli. Scendi, Lu-Hang.
— Sotto il quadro di poppa? chiese il chinese, sbarazzandosi della hen-pu (larga casacca dalle ampie maniche) e dei keu-ku (specie di calzoni usati dai pescatori, pure assai larghi e che formano sul ventre una doppia piega).
— Sì, all’estremità del paramezzale, verso babordo.
Il pescatore s’immerse e si diresse verso poppa, portando seco la lanterna. Lo si vide curvarsi, immergendo il braccio destro, poi ritornare correndo, malgrado le ondate che si precipitavano da una estremità all’altra della stiva.
— Capitano, diss’egli, con accento di terrore. Qualcuno ci ha traditi.
— Cosa vuoi dire?
— Che la nave è stata, come dite voi, sabordata.
— Forata da qualcuno?
— Sì, capitano, ed ho sentito sotto la mano una scure ancora infissa nel legno.
— Ma chi vuoi che sia stato a fare quel foro?
— Il selvaggio, signore.
— Ah!... Il miserabile!... gridò Wan-Stael. Sì, ora comprendo: quell’infame dopo d’aver reciso le catene delle ancore, ha sabordata la giunca per impedirci di fuggire. È vasta l’apertura?