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86 capo ix.


il capitano la guidava verso il lontano stretto di Torres, per riguadagnare più tardi il mar delle Molucche e quindi l’isola di Timor.

Pareva che, malgrado l’arenamento, la nave non avesse sofferto, poichè si comportava benissimo e s’alzava agilmente sulle onde spumeggianti del golfo, quantunque quei velieri di costruzione chinese siano generalmente assai pesanti.

— Urlate finchè volete, non ci prenderete più, disse Wan-Horn, guardando i selvaggi che rimpicciolivano rapidamente. Vi sfido a seguirci fino allo stretto di Torres.

— Ormai non ci fanno più paura, vecchio Horn, disse Cornelio.

— Lo credo, ma quelle canaglie possono vantarsi di aver fatto delle buone prede. Poveri chinesi!... A quest’ora cucineranno sui carboni, in attesa di venire inghiottiti da quei ributtanti selvaggi, ma la colpa non è nostra. Se non si fossero ubbriacati, forse sarebbero tutti salvi a bordo di questa giunca.

— E riusciremo noi a toccare le coste di Timor?

— E perchè no, signor Cornelio! Siamo solamente in cinque, ma la manovra delle nostre vele non richiede numerose braccia e poi attraversato lo stretto di Torres più nulla avremo da temere, poichè i pericoli non esistono che in quel braccio di mare che è così irto di banchi coralliferi e di bassifondi.

— Purchè non ci sorprenda qualche tempesta! Guarda laggiù, vecchio Horn, non scorgi tu delle nuvole alzarsi all’estremità del golfo?

— È vero, signor Cornelio disse il marinaio, aggrottando la fronte. Soffierà vento forte, questa notte, ma la giunca sembra solida ed ha provato già non poche tempeste.

— Non dico il contrario, ma se nell’arenamento si fosse guastata? Tu sai che le carene di queste navi non sono così robuste come quelle dei velieri costruiti sui cantieri europei.

— Anche questo è vero, signor Cornelio. Tutte le giunche chinesi, siano ts-as-ch’wan ossia grosse navi, o towmeng ossia piccole giunche, o ta-yü-ch’wang che portano un solo albero, sono in generale assai difettose. Si dice anzi che un gran