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76 capo viii.


Hans e Cornelio non restavano però inoperosi. Di tratto in tratto sparavano sui più audaci, e le loro palle non andavano perdute, poichè degli uomini stramazzavano sulla spiaggia per non più rialzarsi. Anche la spingarda di tratto in tratto tuonava e le sue pallottole foracchiavano i magri dorsi od i ventri prominenti di quei bruti.

— Lasciateli urlare a loro comodo, disse il capitano. Per ora non oseranno assalirci; occupiamoci invece a disincagliare la giunca, nipoti miei.

— Cosa dobbiamo fare, zio? chiesero i due bravi giovanotti.

— Innanzi tutto getteremo un’àncora a poppa per impedire che qualche ondata sollevi la giunca e la spinga verso la spiaggia. Ciò forse non accadrà, poichè siamo incagliati troppo bene, ma le precauzioni non sono mai troppe.

— Abbiamo ancora un ancorotto, disse Wan-Horn. Sarà sufficiente per trattenere la nave.

— Poi spiegheremo le vele per essere pronti a lasciare questa baia, appena galleggeremo.

— Si può alleggerire la nave, capitano, disse il marinaio. Abbiamo più di venti botti d’acqua nella stiva e quindici tonnellate di zavorra.

— Getteremo tutto in acqua. Che uno di noi vegli sul ponte accanto alla spingarda, per non farci sorprendere da quei feroci antropofaghi.

— Lasceremo Lu-Hang, disse Cornelio.

— Lui! esclamò il capitano, crollando il capo.

— Potete fidarvi di me, signore, disse il pescatore, cadendo alle sue ginocchia. Non sono un traditore io, ve lo giuro e vi servirò fedelmente.

— Ti credo: basta, va a metterti presso la spingarda e se gli australiani si gettano in acqua, fa’ fuoco su di loro.

— Grazie, capitano, rispose il chinese. Mi farò uccidere, se sarà necessario, ma nessuno di quei brutti negri si accosterà alla giunca.

— Al tuo posto e noi al lavoro!

Scesero tutti e quattro nella stiva e cominciarono a rimuovere le botti per rotolarle sotto il boccaporto maestro, prima d’innalzarle sul ponte.

Ne avevano già spostate tre, quando s’accorsero che la zavorra che vi stava sotto era impregnata d’acqua.