Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
i mangiatori di carne umana | 73 |
— Deve essere ancora nella cala.
— Andiamo a vedere.
Scesero nella camera di prua e passarono nella stiva, ma il selvaggio non v’era più. In sua vece si vedevano dei pezzi di fune sfilacciati e che pareva fossero stati rosi da dei solidi denti.
— Ora comprendo! – esclamò Wan-Stael. – Il furfante, approfittando dell’orgia dei chinesi, ha tagliato le funi coi suoi denti ed ha spezzato le catene a colpi di scure, sperando di far naufragare la giunca sulle scogliere della baia.
— Ma perchè la nostra nave è immobile, mentre non è più trattenuta dalle catene? Il riflusso dovrebbe trasportarla fuori della baia.
— Mi fai paura, Wan-Horn, colle tue parole.
— Mi comprendete?...
— Sì, noi siamo arenati.
— Ho questo timore, capitano.
— Saliamo, Wan-Horn.
Lasciarono la stiva e risalirono in coperta, curvandosi sulla murata di babordo. Solo allora si accorsero che la nave era leggermente sbandata e che la sua carena s’appoggiava, a tribordo, su di un banco di sabbia coperto da un solo metro d’acqua.
— Siamo proprio arenati – disse il capitano tergendosi il freddo sudore che bagnavagli la fronte. – Scende la marea?
— Sì, capitano.
— Sono?
— Le undici.
— Fra quattr’ore l’alta marea raggiungerà la sua massima altezza. Speriamo che ci rimetta a galla.
— E se non riuscisse a discagliarci?
— Abbiamo la scialuppa: ci affideremo a Dio e alle onde!