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64 | capo vii. |
arenare sulla costa strappando le àncore e si erano dati in preda all’orgia più sfrenata.
Dopo d’aver divorate le conserve alimentari le cui scatole si vedevano disperse dovunque, di aver dato fondo alle provviste di zucchero e di thè, di aver sfondati i barili di carne salata e di acciughe, avevano spillato i cinque barili di sciam-sciù, ubriacandosi sconciamente.
Alcuni vinti dall’ebbrezza potente causata da quel forte liquore, russavano sdraiati gli uni sugli altri, in una confusione indescrivibile; altri stavano ingollando grandi tazze dinanzi a dei giganteschi punch fiammeggianti, cantando rauchi ritornelli; altri ancora, in preda ad un vero delirio, si azzuffavano, strappandosi le code o tempestandosi reciprocamente di pugni che cadevano con un sordo rumore su quei crani pelati, o giocavano i loro ultimi tael1 o sapeke2 fra un urlìo incessante, mentre il capo dei pescatori, a braccetto del mastro d’equipaggio, danzava attorno ai barili, storpiando i versetti di Licu-jen, il poeta più popolare dell’impero chinese, o di Kiai-giù-y.
Nessuno di quegli ubriachi più pensava ai selvaggi e forse nemmeno al capitano ed ai suoi compagni, che forse credevano già morti e fors’anche ad arrostire su d’un braciere, infilzati in uno spiedo gigantesco.
Wan-Stael, pazzo di rabbia, si scagliò in mezzo a quella banda di ebbri urlando:
– Miserabili! Cosa avete fatto?...
Il capo dei pescatori gli mosse incontro traballando sui suoi alti zoccoli dalla suola di feltro, dicendo con voce rauca:
– Toh!... Vi credevo... morto... capitano...
– E vi siete ubriacati, canaglie! – urlò Wan-Stael, alzando su di lui il pugno.
– Eh!... Eh... avevate... del sciam-sciù... eccellente... ma non l’abbiam... consumato... tutto ve lo assicuro.
– Ma sciagurato, non odi tu le urla dei selvaggi?
– I selvaggi!... Ah... sì... sì... sì... ebbene, vi è ancora del sciam-sciù... berranno.
– Ti mangeranno, furfante... A bordo!... A bordo, miserabili!