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58 | capo vi. |
avevano cominciato il fuoco e le loro palle non dovevano esser andate perdute, poichè si udirono quasi subito urla feroci e urla di dolore.
— Fuggite!... gridò Wan-Stael.
— Non ancora, zio, disse Cornelio. Tira in mezzo Hans e bada a non sprecare le palle.
— Non sono che a cento passi da noi e li vedo benissimo, Cornelio.
— Fuoco adunque!...
Altri due spari echeggiarono un momento dopo. Le urla degli australiani li avvertirono che anche quei colpi avevano fatto un vuoto fra i ranghi degli assalitori.
I due giovanotti retrocessero sollecitamente caricando le armi e raggiunsero il capitano e Wan-Horn, i quali non avevano abbandonata la caldaia.
— Siete feriti? chiese Wan-Stael.
— No, ringraziando Iddio, risposero.
— Tenetevi fuori di portata dai boomerangs e dalle zagaglie. È lontana la baia?
— Non è che a seicento metri, ma l’alba comincia a spuntare. Vedo laggiù le stelle a impallidire rapidamente, disse Hans.
— Un ultimo sforzo, Wan-Horn.
— Tengo duro, capitano.
— Eccoli!... esclamò Cornelio. A me, Hans!...
Gli australiani infatti giungevano a rapidi passi, urlando ed agitando minacciosamente le loro scuri di pietra verde, attaccate colla gomma xantorrea che è più tenace del mastice, e le loro lance colle punte di osso.
I primi albori permettevano di distinguerli senza fatica. Erano tre o quattrocento, di statura media, colle membra gracili, i ventri sporgenti, i lunghi e grossi capelli ondeggianti, i petti coperti di tatuaggi e adorni di collane di denti di animali selvaggi. Indosso non portavano che dei miseri mantelli di canguro che coprivano a mala pena le loro spalle, ma tutti avevano la pittura di guerra che dava a loro un lugubre aspetto.
Alla loro testa marciavano i capi, riconoscibili per le penne di kakatoe che portavano infisse nei capelli e per le code di cani selvaggi che portavano appese alla cintura. Non